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Channel: Alessandra Borgonovo – GameSoul.it
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The Council: Complete Edition – Recensione

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I libri di storia insegnano: non solo la politica controlla il mondo più di quanto non facciano violenza o uso delle armi, ma sono in particolare i sotterfugi, i giochi di potere messi in atto nell’ombra, a decidere gli equilibri geopolitici di più Paesi. Alla luce del giorno strette di mano e falsi sorrisi, alle spalle lame e veleno – spesso sotto forma di parole sussurrate all’orecchio giusto, non sempre occorre sporcarsi le mani in prima persona. Tutto, insomma, pur di proteggere i propri cittadini… e soprattutto se stessi. The Council, il gioco sviluppato da Big Bad Wolf e pubblicato da Focus Home Interactive, esplora proprio queste dinamiche sul filo del rasoio, questi delicati rapporti che potrebbero portare all’ascesa e al declino di una nazione persino nel corso di una singola notte. Dall’ascesa di Telltale Games, al netto della produzione di titoli indimenticabili, si è sempre più ingigantita una crepa che infine ha portato al fallimento della società stessa: la carenza di gameplay e di conseguenza, nonostante la possibile varietà delle storie raccontate, una formula ripetitiva che di gioco in gioco ha lentamente perso il suo mordente.

L’esperienza risultava in un continuo rimbalzare da dialogo a dialogo, con ben poca azione nel mezzo e sempre demandata a una blanda esplorazione. Si può quasi azzardare che l’introduzione dell’avventura episodica abbia anzi impoverito quella punta e clicca nel suo complesso, semplificandola al limite dell’ingenuo: con una narrazione distribuita goccia dopo goccia e una serie di decisioni poste su binari molto rigidi che spesso deviavano appena solo per ricollegarsi alle conseguenze principali, è onesto ammettere che videogiochi del calibro di The Walking Dead, Tales of the Borderlands, Game of Thrones e altri siano associabili a visual novel un po’ più articolate che non ad avventure stimolanti e brillanti come i buoni vecchi Monkey Island o Grim Fandango, per citarne due molto famosi. Proprio qui entra in scena The Council, che si pone l’obiettivo di riprendere un senso di sfida divenuto meno influente nel tempo.

Affrontando la necessità di giochi d’avventura ben scritti e soprattutto strutturati con una certa complessità di fondo, The Council fa tutto tranne che prendere il giocatore per uno stupido: il suo delicato connubio di temi geopolitici seri, occultismo e una certa indulgenza verso la storia dell’arte si combinano per dare vita a un gioco che va a stuzzicare la vostra materia grigia, anziché lasciarla ammuffire. L’ambientazione è piuttosto particolare: è il tardo diciottesimo secolo, Louis De Richet e sua madre Sarah sono membri dell’Ordine Dorato, una società segreta i cui membri sono persone influenti provenienti da tutto il mondo, del quale vogliono guidare il destino. Sarah viene invitata da Lord Mortimer sulla sua isola per disquisire di un tema estremamente riservato, ma a un certo punto la donna scompare e toccherà a Louis recarsi sul posto per scoprire il motivo della sua sparizione e, se necessario, prendere parte al concilio che si riunirà di lì a poco. Questo costringe il giovane aristocratico nel mezzo di una cospirazione globale ordita con l’intento di plasmare la storia per come la conosciamo, mentre forze sconosciute tramano sullo sfondo. Un concept narrativo indubbiamente di portata elevata ma, data la raffinatezza con cui è costruito The Council, non si rivela fuori dalla portata degli sviluppatori.

Come Louis affronterà la delicata situazione dipende soltanto da voi. A differenza di altri titoli sullo stesso filone, The Council non è quell’esperienza à la TellTale descritta in precedenza, ci sono anche elementi RPG che anzitutto determinano la natura del protagonista: potete scegliere fra Diplomatico, Occultista e Detective, ciascuna delle quali avrà una forte influenza sia sulle vostre interazioni con gli altri personaggi sia sulle indagini vere e proprie, costellate di enigmi che potrebbero o meno rivelarsi a voi in base ai vostri talenti. La scelta conta molto, perché sebbene non vi sia precluso l’apprendimento di abilità non relative alla vostra classe, è però vero che il costo in punti abilità sarà maggiore rispetto invece ad attitudini più “naturali”. Un diplomatico sarà portato alla conoscenza della politica, dell’etichetta e delle altre lingue, oltre ad avere un talento nel deviare il discorso per convincere gli altri delle proprie opinioni; l’occultista d’altro canto predilige la manipolazione degli altri attraverso l’inganno e i sotterfugi, oltre a coltivare una passione per le scienze e naturalmente le arti oscure; infine, il detective si fa strada verso la verità usando nient’altro che la sua mente, ponendo dunque le giuste domande, psicanalizzando l’interlocutore, mettendolo alle strette con la sua ferrea logica senza però disdegnare una certa prestanza fisica – una via di mezzo, insomma, tra lo Sherlock Holmes di Benedict Cumberbatch e quello portato al cinema da Robert Downey Jr.

Il concept narrativo di The Council punta molto in alto

Le abilità possono essere acquisite in vari modi: avendo successo nelle conversazioni, risolvendo enigmi, trovando libri da cui apprendere e più in generale come saprete gestire determinate situazioni – nel bene quanto nel male. Salirete inoltre di livello nel corso del gioco, fattore che vi permetterà di ottenere ulteriori punti abilità. All’inizio le vostre conoscenze saranno limitate alla classe selezionata e di conseguenza potreste trovarvi precluse molte strade, ma progredendo nell’avventura avrete la possibilità di costruire meglio il vostro personaggio in base alle preferenze o alle sensazioni su quali talenti vi saranno più utili per proseguire: di fatto non si pone mai in essere uno squilibrio di forze, rendendo ogni scelta valida subito o nell’immediato futuro. Per esempio la mia decisione di ricadere sulla diplomazia mi ha permesso un maggiore successo nelle relazioni interpersonali ma ha di contro ostacolato la possibilità di raggirare individui meno inclini alla mia parlantina fluida, o ricavare dettagli importanti dall’analisi di determinati elementi di tipo scientifico/occulto. The Council sarà ben felice di rimarcare le occasioni perse, tuttavia non lasciatevi prendere dalla frustrazione perché per una porta sbarrata potrebbero aprirsene altre due dove e quando meno ve lo sareste aspettati.

Sfruttare le vostre abilità è di primaria importanza perché, al di là di qualche confronto minore con i servitori del maniero di Mortimer, i vostri principali avversari saranno personalità di un certo rilievo e quindi poco inclini a determinati raggiri: parliamo di un cardinale, Napoleone, George Washington, una nobildonna inglese, un cancelliere tedesco e diversi altri, ognuno con i propri segreti e la ferrea volontà a mantenerli tali. Fondamentale è la conoscenza di queste persone, soprattutto delle loro forze e debolezze che determineranno o meno il successo della vostre conversazioni: se la politica rappresenta una vera e propria immunità per un uomo come Napoleone, è ragionevole però supporre che un giovane comandante esperto della guerra abbia poca dimestichezza con l’etichetta e sia più propenso a cedere terreno di fronte a uno sfoggio che non gli è congeniale. Questo delicato equilibrio può rivelarsi ai vostri occhi in diverse forme, tra le quali è contemplato anche l’errore; se doveste cioè scegliere senza sapere una risposta che va a scontrarsi con l’immunità di un personaggio ne verrete messi a conoscenza e questo tratto verrà definitivamente sbloccato nelle scheda relativa. Oppure potreste consumare un determinato oggetto per garantirvi un vantaggio temporaneo, o ancora indagare tramite documenti e conversazioni con gli altri ospiti per essere pronti a ogni evenienza. The Council lascia ben poco al caso, mettendovi di fronte a situazioni di reale incertezza se non siete in possesso delle dovute informazioni e spingendovi a correre un rischio che potrebbe avere un’equa possibilità di successo o fallimento.

Gestire i rapporti interpersonali è estremamente importante perché determinano quanto gli altri personaggi siano disposti ad aiutarvi e di conseguenza ampliano il vostro ventaglio di possibilità, ma anche perché è facilissimo deteriorarli. Qualunque conversazione di rilievo diventerà un Confronto, ovvero una sfida all’ultima battuta nel corso della quale – a seconda dell’interlocutore – avrete un numero esiguo di sbagli a disposizione: se avete giocato a Life is Strange: Before the Storm riconoscerete in questi momenti una versione più seria della Sfide d’Insolenza che hanno spesso visto Chloe protagonista. La posta in gioco e la quantità variabile di errori rendono i Confronti situazioni di pura tensione durante le quali potreste trovarvi sul filo del rasoio, migliorando un sistema di conversazione già di per sé più interessante rispetto ad altri proposti in altrettanti giochi. Non è raro trovarsi a pianificare ogni singola risposta dopo essere rimasti a corto di possibilità, oltretutto la somiglianza fra loro di alcune scelte complica ulteriormente la vostra scelta; non pensate infatti che ci sia sempre una risposta alla quale affidarsi in toto, le sfumature sono molteplici e si faranno più insidiose se non avete un quadro completo dell’interlocutore, ma è pur vero che non sarete lasciati allo sbaraglio nei vostri dilemmi.

Le capacità di Louis non sono infatti l’unico discrimine nelle conversazioni. Dovrete gestire sapientemente sia gli oggetti sia i punti azione – questi ultimi in particolare fanno una grande differenza nel modo di giocare permettendovi di selezionare risposte mirate e seguono una logica molto semplice: più è sviluppata una qualunque delle vostre abilità, meno punti azione vi serviranno per portare avanti determinati dialoghi o compiere specifiche azioni, fino anche a essere completamente gratuiti. Il trucco, nonché la vera difficoltà, sta nello spendere con oculatezza i vari punti azione perché non si ripristineranno fino alla fine del capitolo a meno di non uscire vincitore in determinate situazioni o usare uno dei summenzionati oggetti di cui potete disporre in quantità limitate; senza contare poi la possibile assuefazione, che vi assegnerà un malus in grado di inficiare le vostre interazioni. Non sarà peraltro l’unico da cui potete essere afflitti nel corso del gioco.

The Council è un avvincente thriller in costume

Al di là delle conversazioni, ci sono anche molti enigmi che spesso richiedono di esplorare l’ambiente attorno a voi per raccogliere le informazioni necessarie alla loro risoluzione; queste prove ruotano attorno a qualsiasi argomento, dalla storia – come ad esempio sapere la cronologia delle Crociate – alla religione, fino ai miti greci per finire con il buon vecchio lavoro investigativo. La varietà impedisce a queste fasi di ristagnare in una pericolosa ripetitività e scandisce bene il ritmo del gioco.

Nel complesso dunque siamo di fronte a un buon titolo, con una storia avvincente quanto basta per mantenere le cose interessanti fino alla fine. Come ogni gioco, però, nemmeno The Council è perfetto: uno dei principali difetti è la sceneggiatura del primo episodio, quello che di fatto ha il compito essenziale di catturare il giocatore. Dire che è scritta male sarebbe un’esagerazione, è più corretto dire che rimane sottotono per gran parte dello svolgimento, salvo rialzarsi nelle battute finali e dare il via a una narrazione che migliora poi passo passo, episodio dopo episodio. Chi invece non riesce mai a compiere il salto di qualità definitivo è proprio Louis, presentandosi a volte incoerente: dovrebbe essere un francese piuttosto altolocato del diciottesimo secolo ma alterna dialoghi adatti al contesto con espressioni più moderne che sebbene possano passare inosservate, a volte privano certe sequenze del loro spirito. Si aggiungono poi alcune difficoltà sul piano tecnico, con modellazioni e animazioni dei personaggi un po’ rozze ma sulle quali è comunque possibile passare sopra grazie al coinvolgimento offerto dalla storia, e un doppiaggio che invece è più difficile ignorare: non sempre si dimostra all’altezza, sottolineando sì i diversi accenti e tuttavia mancando di una particolare incisività.

Conclusioni

Nessuno di questi difetti rompe l’esperienza al punto da renderla ingiocabile, anzi si può dire che non lo rompono affatto dimostrandosi piuttosto sintomi legati a una prima esperienza – ricordiamo che The Council è il titolo d’esordio di Big Bad Wolf – anziché veri e propri errori. Sono scusabili, in particolare se pensiamo che al di là del comprensibile fastidio c’è molto altro per cui il gioco riesce a farsi perdonare: la narrazione, ad esempio, che nonostante un’introduzione non esattamente sfavillante si trasforma lentamente in un avvincente thriller in costume dove le vostre scelte contano ben più di quanto sia stato mostrato altrove.

Già a partire dal secondo episodio gli scenari cambiano drasticamente anche in virtù di una decisione all’apparenza minore, aumentando in modo considerevole il replay value: l’ingresso di Louis in una realtà fatta di intrighi e cospirazioni non va proprio del tutto liscio, ma è uno di quegli inviti che vale la pena di accettare.

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Secret Files: Tunguska – Recensione

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Era il 30 giugno 1908 quando un’esplosione il cui potere distruttivo può paragonarsi a quello di duemila bombe atomiche scosse la regione di Tunguska nella Siberia centrale, abbattendo seimila metri quadrati di pineta. Il boato poté udirsi entro un raggio di circa mille chilometri: i testimoni indicarono un oggetto oblungo, incandescente e avvolto in una luce bianco-bluasta, cadere dal cielo. Una colonna di luce alta venti chilometri fu seguita da una nube nera a forma di fungo e si riporta che le tre notti successive furono talmente rischiarate da rendere possibile leggere un giornale all’esterno. Dalla California, per contro, si osservò una continua riduzione della luce solare. A tutt’oggi non è ancora chiaro cosa abbia provocato una simile catastrofe, nonostante le teorie si siano sprecate e si siano persino chiamati in causa gli alieni; di fatto nessuna ipotesi ha mai trovato fondamento e quello passato alla storia come “evento di Tunguska” potrebbe essere stato dovuto a un’esplosione termica, chimica o nucleare. Ed è proprio in questo mistero che affondano le avventure vissute in Secret Files: Tunguska, porting per Nintendo Switch dell’avventura grafica realizzata da Jörg Beilschmidt e pubblicata a suo tempo nel 2006, della quale sono state poi pubblicate altre versioni fino alla console ibrida della grande N.

Nina Kalenkov, protagonista del gioco, è una giovane donna di origine russe figlia di un importante scienziato e la cui vita viene improvvisamente stravolta quando scopre della scomparsa del padre. Nessuno sembra potere, o volere, aiutarla perciò si occuperà da sé di fare luce sulla questione – aiutata da Max Gruber, un collega del padre. Assieme scopriranno che il professor Kalenkov aveva fatto parte della spedizione in Siberia volta a scoprire il mistero dietro alla catastrofe di Tunguska del 1908 e che quell’evento è connesso alla sua scomparsa. Le ricerche porteranno Nina e Max agli angoli più distanti del mondo soltanto per scoprire che l’intera questione è molto più complessa.

A distanza di dodici anni dal suo esordio, Deep Silver ha deciso di riproporre quest’avventura grafica che già al suo tempo non aveva riscosso un enorme successo, rimasterizzandola e ripensandone alcune meccaniche di gameplay per adattarle alla console in uso. Pare inoltre che siano di prossima uscita anche i due episodi seguenti, Secret Files: Puritas Cordis e Secret Files 3, ma nell’attesa possiamo tuffarci nel gelo del Nord Europa scaricando i 2GB di Secret Files: Tunguska e vestire di nuovo (o per la prima volta, se non avete mai avuto occasione) i panni dell’atletica Nina per portare alla luce le macchinazioni dietro l’evento di Tunguska.

Come abbiamo già avuto modo di sottolineare nella recensione di The Council, le avventure grafiche hanno recentemente ceduto il passo a un tipo di approccio fin troppo semplicistico che va a sacrificare il gameplay in favore di una narrazione della quale siamo spettatori – se non proprio passivi – quantomeno limitati nelle nostre decisioni. Secret Files: Tunguska è ancora un po’ figlio della scuola di pensiero che ha reso Monkey Island e Grim Fandango giochi tanto apprezzati, sebbene nella sua versione originale contasse diversi difetti proprio in termini di puzzle, ma nell’edizione Nintendo Switch si è sentita la necessità di offrire al giocatore una guida: segnata nel diario personale, ci indicherà cosa fare nei più piccoli dettagli e per quanto possa considerarsi utile nonché prova del fatto che alcuni passaggi risultano criptici oltre il consentito, dall’altro lato assume le fattezze di quella semplificazione di cui sopra. Va riconosciuto che già nel 2006 il tributo di Secret Files: Tunguska a un genere ormai prossimo alla scomparsa era molto stiracchiato e ostacolato da difetti di design, ma l’implementazione di una guida rimane ai nostri occhi una scorciatoia di comodo per un gioco che si propone invece di far ragionare il giocatore.

Dal punto di vista della narrazione e dello svolgimento di per sé non ci sono novità rispetto all’originale: in un mix tra le avventure di Syberia e un’esplorazione simile a quelle di una certa archeologa britannica, Secret Files: Tunguska alterna quest’ultima meccanica a sporadici dialoghi con NPC e la più spasmodica ricerca di oggetti o indizi atti a farci proseguire nell’avventura. Nei controlli, al contrario, sono cambiate molte cose ma non possiamo dire sia un aspetto necessariamente positivo: nel tentativo di differenziarli a seconda dell’uso che si fa di Nintendo Switch, è stata proposta una quantità di opzioni che finisce con il diventare complessa e creare nel giocatore una confusione che poco si allinea all’impostazione che ci si aspetterebbe da un titolo come questo. Dai movimenti fino all’uso dell’inventario, poche scelte risultano effettivamente comode e non aiuta certo la telecamera fissa la cui variabilità di campo dipende soltanto dalle preferenze degli sviluppatori. Una luce nel buio di questo remaster non esattamente riuscito è rappresentata dal touchscreen, che rappresenta la nostra salvezza nel caso in cui dovessimo stancarci dei comandi. La scarsa immediatezza nel comprendere il loro funzionamento rallenta di molto il gioco e lo inficia in termini di fluidità, andando dunque a penalizzare l’unica vera innovazione di Secret Files Tunguska con una ricercatezza fin troppo – concedeteci il gioco di parole – ricercata che affonda nella sua stessa complessità.

Secret Files: Tunguska è un gioco legnoso nello stile e nella grafica

Il comparto grafico non fa faville ma si nota un leggero impegno per migliorarlo. Permangono sbavature soprattutto nelle fasi di gameplay, tuttavia nell’insieme non gli si può imputare un vero e proprio difetto. A dare invece più nell’occhio sono invece i sottotitoli: laddove lo stile originale prevedeva un corsivo artificioso al punto tale da far sorridere, nella sua eccessività, questa volta si è optato per una decisione agli antipodi molto anonima se non proprio scialba. Passando però sopra a un fattore relativamente marginale, meno perdonabile è la localizzazione che spesso fallisce nel riportare una corretta traduzione dei dialoghi, denotando un lavoro piuttosto pigro che ostacola i meno avvezzi con la lingua inglese. Per concludere, la colonna sonora rimane del tutto anonima e priva di tracce che sappiano imprimersi nella memoria: senza pretendere un Gustavo Santaolalla all’opera, se il tentativo è quello di ridare lustro a un titolo ormai dimenticato non lo si sta facendo nel migliore dei modi – a maggior ragione se si considera l’intenzione di riproporre la trilogia. Per 15 euro potete senza dubbio trovare offerte più valide.

Conclusioni

Cosa rimane dunque di questa operazione nostalgia? Un gioco sotto la media, legnoso nello stile e nella grafica pur godendo di forme più morbide rispetto al 2006, piegato dallo scorrere del tempo e che è stato spremuto ormai troppe volte per avere tutt’oggi un qualche valore. Secret Files: Tunguska è un’esperienza di altri tempi, che nel mare di remaster non riesce a trovare il proprio posto perché è quel tipo di gameplay che trarrebbe giovamento solamente da un remake.

L’eccessiva ricercatezza dei controlli al punto da modificarne il pattern a seconda della modalità in uso è un ulteriore punto a sfavore, per quanto apprezzabile possa essere il tentativo: priva il gioco dell’immediatezza che contraddistingue questo genere – fatto di pochi comandi essenziali e tanta materia grigia all’opera – e spinge a ripiegare sul touchscreen per non cedere alla frustrazione. Non sappiamo se davvero Deep Silver vorrà scommettere su tutta la trilogia ma non si può dire parta con il piede giusto. Secret Files: Tunguska è un banale riempitivo in una libreria virtuale che offre, allo stesso prezzo o meno, giochi di tutt’altra caratura.

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The Last Remnant Remastered – Recensione

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Sebbene la continua produzione di remaster stia un po’ inasprendo il pubblico, è innegabile che molte volte faccia piacere recuperare dei vecchi classici: vuoi perché non si ha più la vecchia console, o non si è acquistato il gioco all’epoca, oppure caso ancor più importante sono cadute le barriere dell’esclusiva ed è infine diventato accessibile anche a un’altra fetta di pubblico. Quest’ultimo è proprio il caso di The Last Remnant Remastered, che vede Square-Enix pescare nel parco titoli Xbox per riproporre il titolo su PS4 dopo il debutto su Steam qualche anno fa. La fama di questo peculiare JRPG non è fra le migliori, avendo collezionato a suo tempo pareri piuttosto discordanti. Il gioco non prevede alcuna scampagnata in giro per il mondo poiché ci si dirige verso dungeon o città semplicemente selezionandoli sulla mappa. Una scelta forse giustificata dagli ambienti piuttosto spogli e che il team di sviluppo ha provato a bilanciare con l’introduzione di un sistema di combattimento diverso da quanto visto fino a quel momento: pur mantenendo infatti la struttura a turni, il giocatore è chiamato a gestire non i singoli personaggi ma piccole brigate che agiranno come unicum dopo aver impartito loro uno specifico comando.

Questa soluzione ha diviso sia pubblico sia critica, eppure a riguardarla dieci anni dopo risulta qualcosa sì di particolare ma non ingiocabile come sembra sia passata. Non essendo un remake, The Last Remnant Remastered non rivede in alcun modo il gameplay né la narrazione: la storia rimane dunque identica, con il protagonista Rush Sykes in una forsennata ricerca della sorella rapita per motivi sconosciuti. Il gioco ruota in toto attorno a questo obiettivo, per completare il quale Rush dovrà svelare misteri inerenti ai Remnant, misteriosi e magici artefatti che hanno causato numerose guerre nel corso del tempo. Nel far questo il giovane incontrerà molti personaggi: alcuni di loro lo seguiranno nel corso dell’avventura mentre altri ovviamente lo ostacoleranno.

La particolarità di The Last Remnant Remastered è che, al contrario di tanti JRPG, sebbene Rush sia il protagonista della storia non ne è comunque il focus. Figlio di una coppia di ricercatori di Remnant e in missione per salvare la sorella rapita, fa parte di una rara narrazione che non coinvolge genitori morti o amnesia di sorta per alimentarsi e anzi, se Rush non fosse così intrinsecamente legato al potere dei Remnant che gli concede abilità straordinarie in battaglia coprirebbe un ruolo ben più secondario. La lente d’ingrandimento è invece posta su David Nassau, reggente della città-stato di Athlum che si destreggia in mezzo a continui intrighi politici per rendere la propria terra una vera e propria nazione indipendente. The Last Remnant Remastered non ci mette alla guida di un gruppetto di mocciosi desiderosi di cambiare le sorti del mondo, no: avremo il controllo dei personaggi più disparati, da mercenari fino a incantatori di alto lignaggio e persino dello stesso David assieme ai propri fedelissimi soldati, e come avrete già capito saranno pochi i personaggi effettivamente inerenti alla storia – la maggior parte si metterà alle dipendenze di Rush in base alla quantità di denaro che vorremo investire. Esatto, le gilde dopotutto servono proprio a questo e prosperano anche grazie alle nostre necessità.

Come abbiamo accennato, quando arriva il momento di lottare per le vostre vite non impartirete comandi alle singole unità che compongono la vostra squadra. Saranno le Unioni a indicarvi il tipo di mosse che possono eseguire in base a come sono composte e agiranno poi come un gruppo coeso, una meccanica che raramente ci è capitato di vedere in un JRPG a patto di non chiamarsi Criminal Girls. Cosa comporta tutto questo, in pratica? Un esempio esplicativo è che includere un incantatore nella vostra Unione poiché in grado di far esplodere le unità nemiche con una semplice magia, non significa che avrete sempre a disposizione quel comando – molto dipende dai PA ma anche il numero di combattenti dello stesso tipo all’interno di un’Unione influenza gli attacchi disponibili.

All’inizio può sembrare frustrante ma con la pratica si arriva lentamente a capire come far sì che il sistema operi secondo le nostre esigenze, soprattutto quando si tratta di tenere in piedi la squadra: in quanto Unione, infatti, i personaggi dispongono di un’unica barra dei punti vita condivisa fra tutti, esaurita la quale il gruppo è sconfitto. Fortunatamente l’eventuale dipartita di Rush non porta a un immediato game over ma vi accorgerete presto come anche solo la mancanza di un’Unione porti uno squilibrio non indifferente nelle battaglie, soprattutto se per aumentare in fretta il vostro livello deciderete di affrontare più orde nello stesso tempo.

Proprio in merito a questo si pone l’elemento forse più complesso di The Last Remnant Remastered, soprattutto per i neofiti: il Battle Rank (BR), in italiano tradotto in modo piuttosto fuorviante semplicemente come livello. Rispetto ai RPG tradizionali dove all’aumentare del livello del personaggio corrisponde un aumento delle sue statistiche, nel titolo in questione il Battle Rank corrisponde a una misura delle prestazioni sul campo di battaglia che aumenta la difficoltà dei nemici incontrati portando a scontri sempre più complessi mano a mano che lo incrementerete. Esistono due tipi di BR, uno visibile dal menu o alla fine di ogni scontro e un altro invece nascosto che viene determinato per ciascuna Unione dai singoli membri che la compongono – dunque è soggetto a continue variazioni.

The Last Remnant Remastered è estremamente tattico e complesso

Stando a queste informazioni, il grinding sarebbe effettivamente sconsigliato in The Last Remnant Remastered in favore piuttosto di scontri singoli con nemici particolarmente potenti oppure contro più orde possibili. Ciò perché il Battle Rank e le singole statistiche dei personaggi non salgono assieme: l’aumento di queste ultime è infatti dovuto all’uso attivo, o ripetuto se si tratta di Arti, che se ne fa. Significa dunque che partendo lancia in resta con un grinding tipico dei comuni RPG finirete quasi sicuramente con un Battle Rank squilibrato rispetto alle vostre effettive statistiche, trovandovi a boccheggiare a ogni combattimento. In questo senso, il punto cruciale dello sviluppo dei personaggi si base in parte sui titoli della serie SaGa: l’utilizzo attivo di determinate statistiche ne determina l’incremento e quello ripetuto delle abilità non solo ne aumenta l’efficienza ma risulterà in un’effettiva evoluzione delle stesse.

È trascorso un decennio dal debutto di The Last Remnant e non si possono negare i passi avanti mossi con le diverse edizioni: per dirla senza mezzi termini, l’originale su Xbox 360 era orrendo sotto molti aspetti perché, pubblicato prima che la console consentisse l’installazione di giochi sul disco rigido, offriva una performance dimenticabile. Tempi di caricamento lunghissimi, animazioni lente e diversi altri problemi di prestazioni hanno reso questo titolo un’ardua impresa; il primo miglioramento lo si avrà con l’implementazione della Modalità Turbo nella versione PC, il cui apporto in termini di revisione completa è valso al gioco un passo avanti nelle recensioni grazie a una serie di migliorie che sono poi approdate anche nella versione PlayStation 4, rappresentando ancora la vera e propria novità di The Last Remnant Remastered.

Di fatto fra PC e PS4 non si notano differenze a livello contenutistico, sono audio e grafica a rappresentare la versa diversificazione. Al contrario dell’edizione PC, stranamente quella PS4 non offre il dual audio costringendo chiunque voglia godersi l’esperienza in giapponese a cambiare la lingua del sistema dalle impostazioni della console, ma ovviamente questo significa trovarsi cambiati anche i testi – inutile, se non avete dimestichezza con la lingua; non è ben chiaro il motivo dietro la scelta di togliere il dual audio e sicuramente non farà la gioia dei puristi, che molto spesso hanno criticato gli adattamenti inglese bollandoli come poco incisivi.

La versione PS4 di The Last Remnant Remastered offre prestazioni equivalenti a configurazioni medio-alte su PC

Anche dal punto di vista grafico, sebbene si noti un leggero miglioramento rispetto alla già valida versione PC, non c’è lo stesso tipo di impostazioni: persino su PlayStation 4 Pro mancano le opzioni per modificare la risoluzione, il frame-rate, la qualità delle texture o banalmente impostazioni comuni su computer come le ombre. Siamo dunque di fronte a quel concetto di “one size fits all” che rende The Last Remnant Remastered su PS4 equivalente a prestazioni medio-alte su PC. Permane l’effetto pop-in tipico dei titoli sviluppati in Unreal Engine ma si verifica soltanto nel momento in cui si carica una zona per la prima volta, evitando di ripetersi quando si passa dalle battaglie al campo aperto e viceversa. Per la maggior parte, The Last Remnant Remastered mantiene alto il frame-rate su PS4 Pro sebbene non sembri avvicinarsi al 4K60, tranne quando la Modalità Turbo è attiva (e anche lì potrebbe essere solo un’illusione dettata dalle animazioni più veloci).

Permane ancora un po’ di letterbox durante i dialoghi della storia ma, a parte questo, la maggior parte delle texture e dei modelli dei personaggi sembra persino migliore della versione PC. The Last Remnant Remastered non fa molto per mostrare di essere un remaster completo; la versione PS4 è però a tutt’oggi l’edizione definitiva (in parte a causa dell’eliminazione della versione PC da Steam). Non è tanto ambizioso quanto il precedente lavoro di Square-Enix con Star Ocean 4, ma si impegna quanto basta per far funzionare un JRPG sperimentale riproposto con nuova versione dell’Unreal Engine.

Conclusioni

A The Last Remnant Remastered si possono imputare tutti i difetti del suo tempo ma bisogna ricordare che nasce da un tentativo di sperimentazione in grado di offrire spunti interessanti: certo, la complessità del Battle Rank e dunque del sistema di combattimento avrebbe necessitato una spiegazione più dettagliata soprattutto nei confronti di chi si approccia per la prima volta al genere JRPG, ma per i giocatori più navigati rappresenta una sfida interessante e un modo per guardare a questa tipologia di videogiochi con occhi nuovi.

Ci sentiamo di raccomandarlo agli appassionati in virtù del suo coraggio nel tentare qualcosa di innovativo (per l’epoca, s’intende, sebbene anche ora non ci siano molti titoli simili in circolazione) e del fatto che, una volta assimilato, è effettivamente divertente e appagante. Potrete sentire Rush esclamare “Let’s kick some A” fino alla nausea, eppure ogni volta vi troverete coinvolti nella pianificazione delle singole battaglie, perché l’imprevisto è sempre dietro l’angolo.

Alla fine The Last Remnant Remastered prende quanto di buono fatto con la versione PC e vi aggiunge alcune migliorie dal punto di vista grafico per attrarre tanto una nuova generazione di videogiocatori, quanto chi della vecchia guardia non ha avuto occasione di provarlo.

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Sundered: Eldritch Edition – Recensione

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Quando i Thunder Lotus Games calcarono la prima volta nel 2015 le scene videoludiche con Jotun (adesso meglio noto come Jotun: Valhalla Edition), il suo memorabile stile interamente disegnato a mano fece ottenere agli sviluppatori l’attenzione che meritavano. Senza magari raggiungere la risonanza di Image & Form Games o Zoink, era ugualmente uno studio da tenere sott’occhio e non si può negare la curiosità che aleggiava attorno alla loro seconda pubblicazione. Ed ecco entrare in scena Sundered, un metroidvania anche in questo caso disegnato tutto a mano il cui immaginario corrotto e distorto non può che rimandare a un autore ben specifico: H. P. Lovecraft.

Le opere dello scrittore statunitense hanno influenzato moltissimo la cultura non soltanto in termini strettamente letterari ma anche più ad ampio respiro, portando alla nascita della filosofia conosciuta come cosmicismo e al genere ad essa legato, l’orrore cosmico, che si concentra su un determinato tipo di paura nei confronti di entità sconosciute e in nessun modo descrivibili. Pubblicato il 27 luglio 2017 per PlayStation 4, il gioco di Thunder Lotus Games arriva ora anche su Nintendo Switch con il nome Sundered: Eldritch Edition, mirando una volta di più a catturare il cuore delle opere di Lovecraft – ciò che le ha rese tanto avvincenti. Lo fa fondendo queste tematiche cupe con un metroidvania che sfrutta la generazione semi-procedurale delle mappe, e sebbene a volte cada vittima della sua stessa ambizione, riesce a essere un titolo invitante, dall’ottimo design e, superata la confusione iniziale, divertente.

Prestate sempre attenzione ai patti che stringete nell’oscurità: non potete mai davvero sapere con chi o cosa avete a che fare… soprattutto, quanto la loro offerta verrà a costarvi. In Sundered: Eldritch Edition vestirete i panni di Eshe, una donna intrappolata in un mondo in continuo mutamento dove la morte sembra evitarla mentre orde di creature terrificanti la inseguono senza sosta.

Eshe si trova all’improvviso tentata da una voce antica, che le parla di un potere allettante per lei sottolineando al contempo le sue debolezze e dunque il bisogno di quanto le sta offrendo. La tentazione è un tarlo che scava sempre più in profondità dal momento in cui le viene concesso un assaggio di quel potere, trasmesso attraverso artefatti corrotti e l’uso del misterioso Shining Trapezohedron – un’arma amorfa la cui forma varia in base all’uso che ne fa Eshe. Mentre la promessa di un potere al di là dell’immaginazione le sussurra continuamente all’orecchio e il desiderio di abbandonare l’inferno nel quale si trova diventa sempre più forte, Eshe accetterà di sacrificare la sua anima per la tanto agognata libertà? Cederà al bisogno di potere o rimarrà umana? La scelta, ovviamente, appartiene soltanto a voi. 

Nel vostro viaggio per ottenere i sette “Elder Shards” – cristalli oscuri guardati a vista da creature abominevoli – la narrazione si svelerà piano piano grazie ad alcune voci fuori campo che vi parleranno di una guerra tra Eschaton (la razza cui appartiene lo Shining Trapezohedron) e Valchirie (un gruppo di umani entrati in possesso di tecnologia altamente avanzata), il cui esito ultimo ha visto entrambe le razze orrendamente piegate e sfigurate. Essendo umana, Eshe deve scegliere se schierarsi dalla parte degli Eschaton, che rappresentano il potere ultimo, o della sua razza. In base alle scelte compiute guadagnerete un finale buono, neutro o cattivo, ciascuno impreziosito da colpi di scena strazianti e spesso sorprendenti che li rendono tutti meritevoli di essere sbloccati. Come c’era da aspettarsi viste le premesse, le influenze lovecraftiane permeano quasi ogni elemento della vostra odissea, in particolare quando si tratta di affrontare boss nelle spoglie di antiche divinità cadute o visitare luoghi dai nomi piuttosto concisi del tipo “Wgehshtag’her’Ing Phylw’glr’ymg’aeg” – leggibile forse dopo aver ottenuto una laurea all’Università di Arkham. Pur non potendo definire questo gioco un horror, i richiami al genere sono presenti al punto da creare un’atmosfera di terrore e confusione costante. L’onnipresente voce dello Shining Trapezohedron non smetterà mai di stuzzicare con le promesse di un potere oltre ogni immaginazione e per quanto la trama non vada esattamente a toccare le corde del cuore in termini emozionali, resta comunque una narrazione coinvolgente che vi spingerà a volerne sapere sempre di più.

Sundered: Eldritch Edition è un ottimo titolo di stampo lovecraftiano

Sundered: Eldritch Edition è un metroidvania, dunque sapete cosa aspettarvi: si attraversa una serie di corridoi in 2D pieni di nemici, alla ricerca di potenziamenti e nuovi poteri che donano versatilità al gameplay e al contempo vi permetteranno di superare un altro dedalo di corridoi. Ad esempio potrebbe valere la pena faticare per guadagnare il cannone da spalla, che non solo vi consentirà di spazzare via orde di mostri ma vi allontanerà anche dal pericolo, in virtù del suo forte rinculo; a differenza di tanti metroidvania, inoltre, i potenziamenti non sono da utilizzare una tantum solo in determinate situazioni, bensì offrono nuove possibilità di attraversamento dei livelli, combattimento e persino esplorazione per espandere in modo intelligente e continuo sia la vostra esperienza sia il mondo di gioco.

Al contempo, però, Sundered: Eldritch Edition è anche un roguelite che implementa la semi-proceduralità per garantire uno sviluppo mai stantio e pronto a sorprendervi di volta in volta. Elementi importanti come i boss o determinate abilità non mutano la propria posizione, ma la strada che percorrerete per raggiungerli potrà variare: se avete familiarità con il genere non servono ulteriori spiegazioni, per chi invece fosse a digiuno del contesto immaginatevi l’intera mappa come un puzzle dove i pezzi si adattano di volta in volta per formare un quadro sempre diverso. Al di là di questo, non ci sono incontri fissi di sorta, potete essere attaccati in qualunque momento e luogo da orde di nemici il cui numero è variabile – da un paio di gruppi a dozzine. Il fatto di non conoscere mai davvero il layout della mappa e non sapere, una volta che sentirete echeggiare lo stridio a preannunciarne l’arrivo, quanti mostri vi inseguiranno sono incognite di un certo peso nell’esperienza.

Sfortunatamente è proprio questa meccanica semi-procedurale ad abbassare la qualità di Sundered: Eldritch Edition. Se da un lato può essere interessante avere percorsi sempre diversi da intraprendere, le ambientazioni non risultano molto interessanti e alla lunga è stancante iniziare a vedere ripetersi gli stessi elementi. Generare layout sempre diversi senza che però nessuno abbia un particolare guizzo a renderli memorabili, considerando inoltre che esistono solo tre biomi in tutto il mondo di gioco, mina le potenzialità di un gioco che fa della grafica disegnata a mano il suo punto di forza – riducendo con il tempo l’esplorazione a un passaggio fin troppo obbligato e familiare, dove una sezione incontrata per la prima volta offrirà lo stesso tipo di sfide quando ci passerete per la cinquantesima. C’è molto platforming da fare ed probabile che non tutti soffriranno questa ripetitività, ma agli appassionati di metroidvania questo aspetto non passerà certo inosservato.

In aggiunta, capiterà a volte di essere letteralmente soffocati dalle orde di mostri che aspettano solo di farvi a pezzi, al punto da rendere i combattimenti squilibrati: ci sono occasioni in cui non è esagerato dire che non esiste un solo punto dello schermo dove potete sentirvi al sicuro dai loro attacchi portati sia corpo a corpo sia dalla distanza. Certo, Eshe ha modo di proteggersi con uno scudo e utilizzare cariche di energia che rendono i suoi colpi più devastanti e precisi, ma nulla dura per sempre e quando arriva quel momento vi rimane solo l’improvvisazione – sperando al contempo che rotolare via da un attacco non vi spinga nel raggio di altri tre. Quando succede diventa chiaro come la differenza non dipenda affatto dalle vostre abilità ma dalla fortuna e dal modo in cui avete investito i vostri punti abilità.

Eliminare nemici o distruggere parti dell’ambientazione lungo il vostro percorso genererà frammenti da poter poi investire in un albero delle abilità che ricorda da vicino quello di Salt and Sanctuary: le statistiche basilari quali salute, rigenerazione dello scudo e danno corpo a corpo possono infatti essere incrementate di volta in volta spendendo questi frammenti, il cui costo aumenterà a ogni nuovo upgrade. Al contempo sbloccherete altri nodi il cui apporto può variare da ulteriori potenziamenti delle statistiche a veri e propri bonus che vi agevoleranno durante i combattimenti. È tutta una questione di scelte. L’unico modo per diventare più forti è accedere al santuario al centro della mappa, ma per evitare di dover ogni volta fare backtracking potete sempre morire e rendere le cose molto più semplici.

Il gioco offre una svolta interessante al concetto tradizionale di RPG

Certo, da un lato c’è lo svantaggio di doversi rifare un buon pezzo di strada in base a quanta ne avrete percorsa (fermo restando che il layout della mappa cambierà), dall’altro però non perderete nessuno dei frammenti ottenuti prima della vostra dipartita e non avete da preoccuparvi: nessuna morte si può considerare vana perché non mancherà mai qualcosa da migliorare o acquistare nuovo di zecca. Questo comporta una certa libertà per voi nel decidere la costruzione del personaggio, senza sentirvi costretti a scelte di poco valore. Assieme a tutto questo si contano anche dei benefici particolari che offrono abilità passive ad Eshe, ma ormai avete capito che nulla viene concesso senza un prezzo: una volta trovato sulla mappa oppure ottenuto sconfiggendo un’orda di creature, questo beneficio potrebbe ad esempio portare i vostri attacchi a ignorare gli scudi nemici ma in cambio la rigenerazione del vostro stesso scudo ne risentirà. È un do ut des adattato alla logica del gioco, soprattutto è una meccanica indispensabile per procedere senza troppi impedimenti nel mondo di Sundered: Eldritch Edition. Inoltre va riconosciuto che non solo offre più possibilità di personalizzazione ma offre una svolta interessante al concetto tradizionale di RPG dove ottenere un bonus è sempre una cosa buona.

Vi serviranno circa quindici ore per completare il gioco, più un’altra ventina se vorrete tornare sui vostri passi e scoprire i finali che non avete sbloccato nella prima run – una fatica che vale la pena compiere. Sundered: Eldritch Edition è la versione completa del titolo, raccoglie tutti i contenuti pubblicati come DLC su PS4 e PC: ovvero nuove aree, un boss in più e la possibilità di giocare assieme ad altri in co-op locale. Sebbene non sia pensata come una esperienza cooperativa, è interessante poiché i giocatori condividono la barra della salute e le cure – ciò significa che un singolo peso morto è sufficiente per ostacolare la progressione.

Nonostante la già menzionata ripetitività dei paesaggi, al gioco non si può negare un design accattivante proprio come è successo con Jotun; sebbene alcune volte risulti un po’ monocromatico, le varie sequenze sembrano essere state strappate direttamente dall’album dell’artista. La cura per i dettagli e la volontà di ricreare un’ambientazione che ricordasse, per toni e atmosfera, quelle lovecraftiane è evidente e aiuta il gioco a bilanciare alcuni difetti di game design. Per contro la colonna sonora non è altrettanto brillante, conta poche occasioni in cui, di fatto, concorre ad arricchire la scena mentre per la maggior parte del tempo rimane sottotono.

Conclusioni

La libreria del Nintendo eShop non soffre certo la carenza di metroidvania, si pensi a Dead Cells o Hollow Knight, ma Sundered: Eldritch Edition si colloca più o meno a metà. Da un lato la sua ripetitività dovuta alla generazione semi-procedurale delle mappe gli impedisce di raggiungere gli stessi standard dei due esempi citati ma dall’altro il suo aspetto roguelite e la visione un po’ più punitiva degli aspetti RPG offre un’esperienza deliziosamente tetra, stimolante e ricca di contenuti che i fan del genere apprezzeranno sicuramente – unita a un comparto artistico che rappresenta il maggior punto di forza di Thunder Lotus Games.

Se avete apprezzato Jotun nella sua spesso implacabile difficoltà potreste sentirvi a casa con Sundered: Eldritch Edition, che si spinge ancora un po’ oltre e vi sfida a sopravvivere in mezzo a orde di creature che non vi lasceranno un attimo di respiro. Dovete però perdonargli certi difetti per apprezzare al meglio l’avventura.

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Tales of Vesperia: Definitive Edition – Recensione

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La saga Tales of festeggerà il 25esimo anniversario il prossimo anno. È una delle più conosciute serie di JRPG, composta da ben sedici titoli principali che in diverse occasioni sono stati pubblicati su una console salvo poi guadagnare un’edizione definitiva poco tempo dopo, completa di contenuti aggiuntivi. Basti solo pensare a Tales of Graces F e Tales of Heart R: spesso queste operazioni finiscono a vantaggio dei giocatori occidentali, malgrado ciò la storia di Tales of Vesperia segue un percorso travagliato che ha portato a un’accorata richiesta da parte di tutti gli appassionati fuori dal Giappone. Annunciato a suo tempo come una esclusiva Microsoft, un anno dopo l’uscita in Nord America e a pochi mesi da quella europea fu proposta un’edizione per PlayStation 3 ben più completa: personaggi aggiuntivi, dungeon, missioni, scenette e persino un doppiaggio completo a fronte del 40% dell’originale. Insomma, sembrava una situazione destinata a mettere d’accordo chiunque – i giocatori di PS3 avrebbero avuto tutto fin da subito, a quelli di Xbox 360 sarebbe bastato scaricare futuri DLC.

Ma non andò così. Non solo i contenuti dell’edizione firmata Sony sarebbero stati esclusivi PS3 ma quella medesima edizione non avrebbe mai superato i confini nipponici; le vendite al di sotto delle aspettative infatti non convinsero Bandai Namco a scommettere in tutto il mondo su questa nuova edizione e gli appassionati si ritrovarono così con una versione sicuramente valida, eppure incompleta. La speranza di una estensione anche all’Occidente non morì mai, anzi, si risollevò con la produzione di Tales of Vesperia: The First Strike, anime che racconta vicende antecedenti la storia originale. Di nuovo, però, non si seppe quasi più nulla a riguardo. Finché, dopo dieci anni, Tales of Vesperia: Definitive Edition ha debuttato a sorpresa sul palco di Microsoft all’E3 2018, rendendosi disponibile per Xbox One, PlayStation 4, PC e persino Nintendo Switch. Come suggerisce il nome, questa è la versione ultima del gioco che racchiude tutti i contenuti rimasti fino a questo momento esclusivi, oltre a offrire una grafica revisionata. È servito tempo ma ora il vero viaggio ha inizio.

Il gioco mette in scena le avventure di Yuri Lowell, che vive nel sestiere popolare della capitale imperiale di Zaphias e si occupa di garantire ai suoi poveri abitanti quella giustizia che altrimenti, vittime delle imposizioni nobiliari, non avrebbero. L’intero mondo di Terca Lumireis ruota attorno all’aer, fonte di energia primaria, e i congegni chiamati blastia utilizzati per veicolarla; sarà proprio un’indagine sul furto dell’aqua blastia che garantisce al sestiere la riserva idrica a trasformarsi in un epico viaggio per la salvezza del mondo e dell’intera razza umana. Yuri godrà del supporto di un variopinto cast di personaggi, dal fedele segugio Repede a Rita, la giovanissima maga prodigio, fino alla principessa Estellise. Sono poi inclusi Patty Fleur, la piccola pirata appena accennata nella versione originale Xbox dalla quale si dirama un intero ramo narrativo, e il capitano dei cavalieri imperiali Flynn Scifo, che da personaggio secondario viene finalmente reso un membro effettivo del party.

Lo diciamo senza mezzi termini, Tales of Vesperia: Definitive Edition irradia bellezza. Il suo elemento più ispirato è ovviamente il comparto artistico, rivisitato per l’occasione e ora disponibile in una risoluzione 1080p su tutte le piattaforme (720p per la modalità portatile di Nintendo Switch) più un supporto 4K nella versione PC, con un framerate stabile a 60fps sia su PlayStation 4 che su computer mentre per Xbox One e Switch si passa dai 30fps del mondo di gioco ai 60fps durante le battaglie. Anche volendo passare sopra a questo cavallo di battaglia per guardare più in profondità, rimarrete comunque affascinati dalla bellezza nascosta pressoché in ogni angolo. I personaggi sono perfettamente tratteggiati, resi ancora più vivi da dialoghi più veri di quanto ci si aspetterebbe in un JRPG: nella mia personale esperienza con la saga li ho trovati fra i più sfaccettati e umani in assoluto, in grado di competere con altri più recenti come quelli di Tales of Xillia e Tales of Berseria. Tutto supportato da una storia sceneggiata tanto bene quanto curati sono i protagonisti, ricca di colpi di scena inaspettati e momenti in grado di stringere il cuore.

Tales of Vesperia: Definitive Edition irradia bellezza

Ovviamente stiamo parlando di un videogioco, non di un film, dunque largo spazio è lasciato al gameplay: essendo una remastered vi troverete di fronte al sistema di combattimento originale, arricchito da quegli elementi mancanti nella versione Xbox, ma nonostante siano passati dieci anni e al di là della persistente sensazione di familiarità che accompagna i fan in ogni capitolo, il ritmo sostenuto, i toni sgargianti e quell’aspetto strategico di fondo che spiegheremo a breve concorrono a rendere l’esperienza avvincente senza far sentire il peso degli anni. I mostri sono visibili sulla mappa del mondo – che ricorda quelle dei vecchi Final Fantasy – e dei singoli dungeon, permettendo di affrontare un gruppo singolo o dare il via a scontri congiunti per massimizzare i risultati con uno sforzo (apparentemente) minimo.

Le battaglie si svolgono in tempo reale all’interno di un’area delimitata e ci sono diverse opzioni su come affrontarle: l’approccio predefinito, e forse il più in uso, è attaccare automaticamente il nemico pigiando senza sosta il relativo pulsante e di quando in quando alternarlo con l’uso delle Arti, che si apprendono mano a mano con l’utilizzo di quelle già in vostro possesso. In Tales of Vesperia: Definitive Edition potete equipaggiarne fino a due set. La maggior parte delle battaglie può essere vinta in questo modo, forti del supporto di tre compagni gestiti molto bene dall’intelligenza artificiali, e questa mancanza di sfida è il problema che ha afflitto la serie per molti anni. Ciononostante, proprio perché queste battaglie semplificate sono particolarmente fluide e movimentate, si percepiscono comunque avvincenti.

Detto questo non adagiatevi troppo sugli allori perché sia i boss sia i più famigerati Megalomostri – il nome parla da sé – saranno di tutt’altra pasta e allora dovrete pensare a quella soluzione più strategica che abbiamo accennato poco fa. Non solo l’uso combinato di oggetti (disponibili in dosi molto più limitate di quanto un Final Fantasy vi abbia abituato) e Arti è essenziale per incorrere nella vittoria, ma dovrete anche essere in grado di gestire l’enorme quantità di abilità che i vostri personaggi possono imparare con l’uso costante di un’arma: ognuna ne offre di diversi tipi, tuttavia i PA a disposizione non saranno mai sufficienti a selezionarle tutte. Decidete voi su quali è meglio scommettere. Infine, la sezione “Strategia” vi permette di gestire le singole azioni dei membri del party – come si comporteranno, l’approccio da adottare e soprattutto la percentuale di magia da utilizzare. Quest’ultimo aspetto è vitale per assicurarvi che i vostri compagni badino ai propri sprechi.

Bellissimo, accattivante, divertente

Nel complesso troverete poi molti altri elementi comuni alla saga, come la cucina e le battaglie al Colosseo, ma è la consapevolezza di potersi infine godere il gioco alle sue massime potenzialità che rende Tales of Vesperia: Definitive Edition una di quelle remaster necessarie. I personaggi di Patty e Flynn arricchiscono la storia in termini di interazioni, rami narrativi, scenette e missioni secondarie, la presenza di nuovi livelli e dungeon espande ancora di più un gioco dalla durata minima di 50 ore senza per questo appesantirlo – lo ripetiamo, tutto grazie all’ottimo equilibrio fra narrazione e gameplay – mentre i costumi alternativi, sebbene ininfluenti sul gioco di per sé, danno un tocco di colore in più ai personaggi sfruttando in alcuni casi l’effetto nostalgia. Infine, la versione speciale del sistema di combattimento Linear Motion è quanto serve per far sentire ancora moderno un gioco che conta i suoi dieci anni sulle spalle. Le speranze dei fan occidentali sono diventate realtà.

Conclusioni

Tales of Vesperia: Definitive Edition è il ritorno di un grande classico, la risposta di Bandai Namco a un appello lungo dieci anni. La risoluzione a 1080p e 60fps stabili su PlayStation 4 Pro gli rende tutta la giustizia che merita, valorizzando un cast di personaggi eccezionale tanto quanto la storia che prende svolte spesso inaspettate, mentre il dual audio ci permette di godere della lingua madre oppure di un’altrettanto valida localizzazione inglese. Nonostante siano passati dieci anni dal suo esordio e altri Tales of si siano susseguiti, il sistema di combattimento rimane incredibilmente fluido, sgargiante e variegato, ma non per questo difficile da padroneggiare: l’uso di arti e colpi fatali, unito ad abilità uniche per le singole armi, concorre a restituire un’esperienza profonda e strategica quando si decide come costruire il proprio personaggio in base alla situazione contingente. Va però ammesso che a volte le battaglia si affrontano senza particolare impegno.

Dal 2008 a oggi possiamo contare sei titoli principali della serie, eppure Tales of Vesperia rimane uno dei migliori grazie a un ragionato e funzionale equilibrio tra narrazione e gameplay: pur non mettendo troppo alla prova le vostre abilità, soddisfa tutti i punti chiave di un JRPG. Bellissimo, accattivante, divertente, Tales of Vesperia: Definitive Edition è il più valido esempio recente di come un gioco possa essere adattato alle console attuali senza perdere niente del fascino originale.

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Onimusha: Warlords – Recensione

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Non tutte le serie videoludiche vivono per stare al passo con le generazioni di console, limitandosi a fare il loro tempo per poi precipitare nel dimenticatoio. Per ciascun Super Mario o The Legend of Zelda, sempre in rilievo e sprizzanti vitalità, abbiamo esempi come Onimusha: opere che hanno saputo distinguersi su una o due console, salvo poi scomparire nel nulla… almeno fino a oggi. L’annuncio nell’agosto dello scorso anno da parte di Capcom di Onimusha: Warlords rimasterizzato per PlayStation 4, Xbox One, PC e Nintendo Switch ha seguito di qualche mese il deposito da parte dell’azienda di marchi Onimusha in varie regioni, con riferimento a servizi di videogiochi online. Una mossa che lascia aperta anche la possibilità di titoli per cellulare, come è successo con la scottante delusione dovuta ad Alien: Blackout, ma non si può certo negare che la decisione di riproporre proprio il primo capitolo della serie sia casuale.

Attualmente alle prese con l’imminente Resident Evil 2 e a seguire nel mese di marzo Devil May Cry 5, è improbabile che Capcom possa o voglia concentrarsi in tempi brevi su un eventuale rilancio di Onimusha con un titolo nuovo di zecca, tuttavia per alleviare un’attesa si spera fruttuosa permette ai fan di vecchia data di fare un tuffo nella nostalgia e ai giocatori odierni di conoscere un progetto che, guarda caso, sarebbe dovuto essere uno spin-off proprio di Resident Evil prima di prendere una strada propria. Combattimento all’arma bianca in terza persona con un pizzico di risoluzione enigmi, il tutto coronato da una storia che affonda le radici nel mito giapponese, Onimusha è una serie ricordata per il suo senso dello stile, un gameplay vecchia scuola e una narrazione piuttosto evocativa che fa da contraltare a una accuratezza storica abbastanza limitata. Senza la pretesa di essere un gioco perfetto, Onimusha: Warlords è una remaster ben realizzata, al netto di alcuni difetti tollerabili.

L’era PlayStation 2 è stata teatro di sperimentazioni. Più o meno qualsiasi studio di sviluppo era in fermento per l’avvento di una nuova tecnologia che avrebbe permesso loro la creazione di titoli più estesi e, ammettiamolo, in virtù di queste numerose possibilità anche più divertenti. Capcom in quel periodo è stata fra i più brillanti grazie a progetti davvero di pregio e fra questi l’unicità di Onimusha spiccava più di altri, perché stava cercando di realizzare cose in cui nessun altro si era cimentato prima. Rivederlo adesso, con una grafica rifinita e più luminosa, ci permette di apprezzare fino in fondo le particolarità di un gioco già fantastico all’epoca.

Come dicevamo, non si può parlare di un titolo perfetto (nessuno lo è mai veramente), tuttavia riesce a essere incredibilmente valido a distanza di diciassette anni dimostrandosi forse un po’ datato nella semplicità del suo gameplay generale, ma comunque meritevole di essere rigiocato. Non è raro, nel recuperare a distanza di ben due generazioni di console un gioco che ci ha fatto impazzire, notare difetti di cui non siamo stati consapevoli all’epoca. Per Onimusha: Warlords non è così, è lo stesso bellissimo hack ‘n’ slash del 2001 aggiornato con alcune graditissime migliorie come la risoluzione 1080p e il supporto al widescreen per citarne un paio – i nostalgici potranno comunque impostare il formato originale del gioco in 4:3. Forse hanno lavorato leggermente sui comandi per renderli appena più responsivi, il che non guasta affatto, ma al di là di questo siamo di fronte a quel piccolo vecchio miracolo che Keiji Inafune e Jun Takeuchi portarono alla vita assieme al loro team.

Onimusha: Warlords è un classico del suo tempo, oggetto probabilmente della migliore rimasterizzazione possibile.

Perché, nel caso non ricordaste, la struttura à la Resident Evil mantenuta anche in Onimusha: Warlords era sicuramente più adatta a un survival horror che non a uno di stampo più action: la staticità degli sfondi bidimensionali e prerenderizzati obbligava all’uso della telecamera fissa, che al di là di qualche inquadratura affascinante avrebbe pesato troppo su un sistema di combattimento dal ritmo così sostenuto come quello in gioco. Invece il risultato finale sorprese tutti, dando vita a un titolo in qualche modo rivoluzionario per l’epoca – o forse sarebbe più corretto definirlo intraprendente, perché ci volle davvero un bel coraggio a osare e credere in qualcosa che le premesse non vedevano troppo bene. Ebbe dunque origine la storia di Samanosuke Akechi, che a seguito dell’uccisione in battaglia del crudele signore feudale Oda Nobunaga, intraprese assieme alla kunoichi Kaede una missione per salvare la principessa Yuki: eventi misteriosi avevano colpito il castello di Inabayama e si scoprirà essere opera di demoni assetati di sangue, fautori di un complotto al quale solamente Samanosuke e Kaede possono porre fine.

Per invogliare anche i meno esperti a immergersi in questo racconto dal sapore di una leggenda, il “nuovo” Onimusha: Warlords ha messo a disposizione la modalità Facile fin dal principio, quando invece nell’originale si sbloccava solo dopo un cospicuo numero di game over in qualunque punto del gioco. Inoltre, per equilibrare il look&feel affinché si sentisse quanto più moderno questa rimasterizzazione consenta, è stato aggiunto il supporto allo stick analogico per un movimento istintivamente più semplice e veloce secondo un sistema di controllo screen relative; anche qui, se voleste giocare l’avventura il più fedelmente possibile all’originale seguendo il modello character relative vi basterà utilizzare la croce direzionale. Nulla di più facile. Questi accorgimenti non svecchieranno certo un gameplay che non può nulla contro il peso degli anni, ma Onimusha: Warlords è un gioco ancora in grado di divertire nella sua evidente brevità ed è questa la cosa più importante. Consideriamolo come un piccolo antipasto in attesa, con un pizzico di speranza, in un futuro rilancio del brand da parte di Capcom una volta pubblicati RE2 e DMC5.

Conclusioni

Onimusha: Warlords è un classico del suo tempo, oggetto probabilmente della migliore rimasterizzazione possibile. Dal punto di vista estetico niente da eccepire, tutto è più nitido e gode di una maggiore illuminazione rispetto all’originale, mentre lato gameplay permane una zoppia imputabile ovviamente allo scorrere del tempo. Diciotto anni sono tanti e Onimusha: Warlords fa del suo meglio per presentarsi a testa alta ed essere ancora rigiocabile; e lo è senza dubbio in termini di combattimento, che fa pensare all’incredibile lavoro svolto nel 2001 in un contesto che non avrebbe permesso tutta la fluidità invece dimostrata. A carattere generale invece bisogna ammettere che la vecchiaia si fa sentire, tuttavia ciò non impedisce al gioco di essere un recupero consigliato per chi l’ha apprezzato all’epoca – grazie anche al prezzo consono di 19,99 euro. I nuovi giocatori potrebbero invece considerarlo se vogliono riscoprire una perla del passato.

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RAGE 2 – Anteprima

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Qualche settimana fa siamo volati a Londra, negli uffici di Bethesda, per provare un gioco ad alto carico di follia: chiunque conosca id Software, Tim Willits e in questo particolare caso Avalanche Studios, non dovrebbe balzare sulla sedia a sentire il nome Rage 2. O forse sì, perché del gioco datato 2011 nessuno si sarebbe aspettato certo un sequel considerato che nel complesso era un gioco discreto ma non eccezionale, anche a dispetto di un finale cliffhanger.

Rage 2 sarebbe forse potuto essere la vera sorpresa dello scorso E3 se la sua esistenza non fosse stata rivelata poche settimane prima. In ogni caso l’effetto stupore non viene del tutto meno, perché questo sequel si presenta come un gioco completamente diverso dall’originale: questo è senza dubbio un bene.

Rage 2 è uno sparatutto in prima persona open-world con alcuni elementi di crafting e altri affini del genere RPG. Si tratta di un vero e proprio sequel, ambientato trenta anni dopo gli eventi del primo gioco: l’umanità si è lasciata alle spalle l’apocalisse e le sue tragiche conseguenze, imparando a convivere con il dopo e cercando in qualche modo di ricostruire la propria quotidianità.

Certo, il mondo è ancora un’instabile massa caotica dove gang di predoni e mutanti assetati di sangue spopolano, ma è per questo che ci siamo noi: nei panni del ranger Walker, tutto ciò che sappiamo finora è che saremo coinvolti in una lunga lotta contro il generale Cross, in questo secondo capitolo leader di un gruppo che ricalca le orme dell’Autorità – l’antagonista principale del titolo precedente. La trama rimane dunque ancora un mistero attorno al quale Bethesda immaginiamo si preparerà a fare più luce. O forse no, chissà.

Durante la nostra prova siamo stati liberi sia di seguire lo svolgimento della trama principale sia di attraversare liberamente le Wastelands per testare la struttura di gioco in generale, scelta sulla quale ci siamo buttati senza indugio dopo aver fatto un salto in quel di Wellspring per salutarne il sindaco – una vecchia conoscenza che risponde al nome di Loosum Hagar.

Proprio come il remake di Doom, ciascun elemento di Rage 2 spinge a giocare in modo aggressivo e dare addosso al nemico usando il nostro arsenale al completo, trovandoci dunque soggetti a quel mix di letale adrenalina per cui i nostri sensi saranno sempre spinti al limite e persino oltre.

Sebbene infatti le munizioni siano in abbondanza e le nostre abilità a base di “nanotriti” (Dash, Shatter e Slam) abbiano un tempo di ricarica piuttosto rapido, la frenesia che caratterizza ogni combattimento ci costringe ad avere anche il cosiddetto occhio dietro la testa. Non è così semplice morire ma nemmeno vivere, in un mondo dove ognuno pensa alla propria sopravvivenza.

Il gioco tuttavia non resta a guardare e offre incentivi per spingervi a rischiare e gettarvi nella mischia: eliminare nemici in rapida successione crea una “serie di uccisioni” che aumenta la velocità di ricarica del vostro “overdrive meter”. Una volta attivata, l’Overdrive aumenta di parecchio il danno inflitto e consente di rigenerare la tua salute. Serve davvero una scusa migliore per andare in berserk e cacciare folti gruppi di nemici?

Rage 2 spinge a giocare in modo aggressivo

Il gunplay ci è sembrato elaborato il giusto, dopotutto sotto questo aspetto id Software non delude mai, e in grado di garantire l’approccio desiderato grazie all’implementazione delle poche ma sensibili abilità menzionate poco sopra. Si potranno aggiornare per migliorare ma, parlando con Tim Willits, ci è stato confermato che non saranno più di quelle mostrate.

Una scelta oculata perché senza questi potenziamenti è molto difficile progredire nel gioco ma, al contempo, non sono in quantità tale da essere dimenticati o nel peggiore dei casi messi da parte senza nemmeno essere stati provati: sono solamente tre e ci dobbiamo “accontentare”.

Sotto questo aspetto, dunque, la collaborazione tra id Software e Avalanche si dimostra equilibrata: da un lato abbiamo dei veri e propri esperti nel garantire un’esperienza di shooting carica di adrenalina e divertimento, dall’altra invece abbiamo uno studio che sa bene come costruire un open-world.

Le Wasteland sono infatti sconfinate, disseminate qua e là di missioni da fare per aumentare il livello dei principali alleati che incontreremo lungo la storia: una struttura a “zone” (virgolettiamo perché in realtà non ci sono confini netti) che alla lontana ricorda quanto visto in Just Cause 4, disseminata di missioni secondarie fra le più disparate.

Rage 2 poggia su fondamenta solide

A bordo della nostra fidata Phoenix, una jeep pensata apposta per affrontare le insidiose strade impolverate delle Wasteland (ma siamo liberi di guidare ogni veicolo a portata), abbiamo inseguito predoni, distrutto convogli con razzi, mitragliatrici e ogni arma possibile con cui potenziare il nostro mezzo, insomma fatto tutte quelle cose per cui Avalanche si era già distinta in Mad Max e nella serie Just Cause, dunque possiamo ben sperare in combattimenti a bordo di veicoli altrettanto emozionanti come quelli a piedi. Le basi non mancano, lo abbiamo constatato, aspettiamo di vedere se il tenore sarà lo stesso (o migliorerà) lungo il corso del gioco.


Ovviamente questi aspetti non avrebbero importanza se ci trovassimo di fronte a una serie di azioni ripetitive: la collaborazione tra Avalanche e id Software, lo ripetiamo, in questo caso funziona bene mettendo al servizio del giocatore un vasto open-world corredato da meccaniche di shooting intelligenti e mai banali, in un mix anzi indispensabile per uscire vivi dalla crudeltà delle Wasteland.

Abbiamo ancora non poche domande sulla struttura di Rage 2, soprattutto in merito a come si riuscirà a mantenere interessante la componente open-world, ma da quanto visto finora il gioco poggia su fondamenta solide per proporsi come un’esperienza folle, divertente e non inutilmente dispersiva.

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Resident Evil 2 – Guida al Trofeo “Fabbro”

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Resident Evil 2 ci ha insegnato una volta di più cosa significa avere davvero paura, riportando sui nostri schermi quella notte degli orrori del lontano 1998. Tra i ben quarantadue trofei del gioco, in questa guida vi aiuteremo a guadagnare quello legato ai lucchetti e alle casseforti, relativamente semplice ma abbastanza lungo in termini di backtracking: ci sono cinque lucchetti e tre casseforti in totale da sbloccare per ottenerlo.

  • Scrivania ufficio Ala Ovest (Centrale di Polizia): lucchetto sinistro NED, lucchetto destro MRG
  • Cassaforte Ufficio Ala Ovest (Centrale di Polizia): 9sx-15dx-7sx
  • Armadietto Docce (2F Centrale di Polizia): CAP
  • Armadietto 3F (Centrale di Polizia)
  • Cassaforte Sala d’Attesa (Centrale di Polizia): 6sx-2dx-11sx
  • Armadietto Sala di Controllo (Fogne): SZF
  • Cassaforte Vasca di Trattamento (Fogne): 2dx-12sx-8dx

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Resident Evil 2 – Come ottenere MQ 11 e Lightning Hawk | Guida

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Resident Evil 2 riporta l’orrore di Raccoon City sui nostri schermi grazie a un’avventura familiare solo nei nostri ricordi: a conti fatti molte cose sono cambiate, sia in termini di ambientazioni ma soprattutto di enigmi, revisionati rispetto alla loro versione originale. Uno di questi, sebbene non obbligatorio ai fini della trama, riguarda l’ottenimento di due armi – la mitragliatrice MQ 11 per Claire e la pistola Lightning Hawk per Leon – assieme ai rispettivi potenziamenti. Per una maggiore chiarezza divideremo la guida a seconda dello scenario.

SCENARIO A

MQ 11 e Lightning Hawk si trovano entrambe nello stesso posto: l’Armeria nell’Ufficio S.T.A.R.S. al 2F della Centrale di Polizia. Per aprirla dovrete accedere al computer ma non vi sarà possibile senza il Simbolo S.T.A.R.S., ecco il percorso da fare per ottenerlo: nella Biblioteca al 2F, sul tavolo accanto all’ingresso, prendete il Libro Rosso e dirigetevi poi nel Magazzino Opere d’Arte sullo stesso piano. Prendete il Braccio Sinistro Statua, combinatelo con il libro e interagite con la statua per avere lo Scettro, da cui estrarre la Pietra Rossa.

A questo punto andate avanti con il gioco fino a ottenere la Chiave di Cuori (Claire) per accedere alla Stanza degli Interrogatori o la Chiave di Fiori (Leon) per entrare invece nell’adiacente Stanza di Osservazione al 1F della centrale: in una o nell’altra, a seconda del personaggio usato, troverete il Portagioie da combinare con la Pietra Rossa – al suo interno vi aspetta il Simbolo S.T.A.R.S., esaminatelo per ottenere una Chiavetta USB. Adesso non resta che tornare nell’Ufficio S.T.A.R.S. e interagire con il computer per reclamare la vostra arma.

SCENARIO B

L’unica differenza rispetto allo Scenario A è la posizione del Portagioie: lo troverete nelle Docce al 2F della Centrale, al posto della Cassetta di Sicurezza Portatile. Per il resto seguite tutte le indicazioni riportate sopra.

Non è finita qui, però. Ottenuta la MQ 11 oppure la Lightning Hawk, riprendete la Chiavetta USB e proseguite la vostra avventura fino alle Fogne. Qui, recuperata la Chiave, aprite la Sala Pausa Dipendenti e spostate l’armadio in fondo alla stanza per trovare un ascensore nascosto: salite e seguite la strada fino al sbloccare il cancello che conduce alle Scale Sotterranee. Qui si trova una Teca Armi Speciali targata S.T.A.R.S., dovete chiudere la chiavetta fino a farla tornare un semplice distintivo e inserire quest’ultimo nello spazio apposito. All’interno della teca aspettano di essere arraffati il Soppressore (MQ11) o la Canna Lunga (Lightning Hawk).

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Resident Evil 2 – Guida al Trofeo “Cacciatore di Tesori”

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Resident Evil 2 è tornato in tutto il suo meraviglioso orrore. La familiare, ma al tempo stesso nuova, avventura di Leon e Claire in una Raccoon City infestata dagli zombi è ricca di rimandi al titolo originale ma anche di qualche segreto per affrontare meglio l’apocalisse. Una di queste riguarda il trofeo “Cacciatore di Tesori”, che ci chiede di trovare due oggetti nascosti usando altrettante fotografie. Vediamo come procedere passo passo.

Anzitutto, l’unica Camera Oscura presente nel gioco è al 1F della Centrale di Polizia, nell’Area Ovest, proprio vicino alle scale che portano ai piani superiori. Il Rullino “Hiding Places” si trova invece nell’Officina delle Fogne, ci passerete obbligatoriamente andando avanti con il gioco. Per tornare all’interno della Centrale, sullo stesso piano dell’Officina dovete usare una Chiave che troverete lungo la strada per aprire la Sala Pausa Dipendenti: qui spostate l’armadio in fondo alla stanza per rivelare un ascensore nascosto, prendetelo e seguite la strada fino a ritrovarvi nelle Scale Sotterranei. Da qui salite fino alla Stanza Segreta sotto la Statua della Dea e – se state giocando lo Scenario A – utilizzate l’Attrezzo trovato nelle Fogne per riaprire l’ingresso.

Andate a sviluppare il rullino. I due luoghi indicati si trovano rispettivamente nell’Ufficio S.T.A.R.S. al 2F e nella Sala Conferenze al 1F: nel primo, interagite con la scrivania nell’ufficio del capitano per trovare una Scatola di Legno al cui interno c’è il Caricatore Esteso (MQ 11),  se state usando Claire o il Mirino Red Dot (Lightning Hawk) se state usando Leon. Inoltre, sebbene non ci sia alcuna indicazione per raccoglierlo, in fondo al cassetto vedrete un altro rullino. Prendetelo e, se volete, tornate a svilupparlo per ottenere la foto “Recluta Promettente”. Nella Sala Conferenze, nel cassetto di un tavolino in fondo a sinistra, troverete invece degli Aghi Elettrici (Claire) oppure del Combustibile (Leon). Questo conclude la caccia al tesoro e sblocca il trofeo.

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Resident Evil 2 – Come risolvere tutti i puzzle | Guida

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Resident Evil 2 si è dimostrato un ottimo gioco, capace di restituirci – addirittura migliorandole – le sensazioni di quel lontano 1998 quando per la prima volta abbiamo conosciuto Leon e Claire. In una familiarità che non sfuggirà ai giocatori di vecchia ci sono però moltissime novità e alcune di queste riguardano la componente più machiavellica del gioco: gli enigmi sono diversi e strutturati più dal punto di vista mnemonico e gestionale.

Per aiutare chiunque di voi si trovi in difficoltà con qualche indovinello o bloccato di fronte a una pulsantiera nelle profondità del NEST, di seguito vi riportiamo tutte le soluzioni per procedere lungo la vostra avventura.

  • Statua del Leone (Scenario A Leon/Claire): Leone, Ramoscello, Aquila
  • Statua del Leone (Scenario B Leon/Claire): Corona, Fiamma, Uccello in Volo
  • Statua dell’Unicorno (Scenario A Leon/Claire): Pesci, Scorpione, Acquario
  • Statua dell’Unicorno (Scenario B Leon/Claire): Gemelli, Bilancia, Verme
  • Statua della Vergine (Scenario A Leon/Claire): Donna, Arco, Serpente
  • Statua della Vergine (Scenario B Leon/Claire): Ariete, Arpa, Uccello

  • Enigma degli Scacchi (Scenario A Leon/Claire): fila a sinistra cominciando da destra, Cavallo, Torre, Alfiere; fila di destra cominciando sempre da destra, Pedone, Regina, Re
  • Enigma degli Scacchi (Scenario B Leon/Claire): fila di sinistra cominciando da destra, Re, Alfiere, Regina; fila di destra cominciando sempre da destra, Pedone, Torre, Cavallo

 

  • Pannello nella Sala di Controllo della Serra, Codice 1 (Scenario A Leon/Claire): 3123
  • Pannello nella Sala di Controllo della Serra, Codice 1 (Scenario B Leon/Claire): 2048
  • Pannello nella Sala di Controllo della Serra, Codice 2 (Scenario A Leon/Claire): 2067
  • Pannello nella Sala di Controllo della Serra, Codice 2 (Scenario B Leon/Claire): 5831

  • Miscelatore Laboratorio Test Medicinali (Scenario A Leon/Claire): Rosso, Verde, Blu, Rosso, Verde, Blu, Rosso, Verde
  • Miscelatore Laboratorio Test Medicinali (Scenario B Leon/Claire): Blu, Rosso, Verde, Rosso, Blu, Rosso, Blu, Verde, Blu, Rosso, Verde

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Hitman HD Enhanced Collection – Recensione

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Chi vi scrive è stata ed è tuttora fan della serie Hitman fin dai tempi della PlayStation 2: è una di quelle serie che non manca mai di offrire un’esperienza emozionante e tesa ma soprattutto sempre diversa, poco importa quante volte si ripeta la stessa missione. Per chi non ne sapesse nulla, la storia ruota attorno ad Agente 47, il miglior assassino in circolazione il cui obiettivo è ovviamente eliminare i bersagli che gli vengono commissionati evitando di lasciare tracce. Gli approcci sono molteplici, dal tramortire qualcuno per rubarne i vestiti e mimetizzarsi fino ad avvicinare l’obiettivo – che poi eliminerete sfruttando ciò che l’ambiente vi offre – al sabotaggio per fare sì che tutto assomigli a un incidente fino al classico omicidio per mezzo di un fucile da cecchino. Più sarete discreti, maggiore sarà la valutazione ottenuta: sta a voi intuire come sfruttare le diverse possibilità per creare l’uccisione più elegante possibile.

Prima di entrare nello specifico dei titoli di Hitman HD Enhanced Collection, lasciatemi dire che se siete già in possesso di Hitman: Blood Money o Hitman: Absolution, ci sono pochi motivi per acquistare questa edizione. Certo, la grafica è in alta definizione a 60fps ma a parte questo quasi nient’altro. Avviando la versione PS2 di Blood Money vi accorgerete che il gioco sembra esattamente lo stesso ad eccezione di una migliore nitidezza nelle texture e nei bordi: ciò significa che il gameplay di per sé risulta vecchio rispetto ai più moderni titoli. Absolution era già bello a vedersi su PS3 e lo è altrettanto su PS4 tuttavia, di nuovo, non c’è niente che ne giustifichi un secondo acquisto.

IO Interactive afferma inoltre di aver migliorato il sistema di controllo ma, laddove Absolution non mostra problemi, Blood Money soffre la goffaggine del suo tempo nonostante lo sforzo di modernizzarlo. Abituata ai più recenti Hitman, certi comandi hanno un sentore di vecchio che purtroppo è difficile ignorare, soprattutto in un contesto quale l’assassinio dove la discrezione e la rapidità d’esecuzione fanno la differenza. Vediamo ora nel dettaglio i due titoli.

Hitman: Blood Money HD

Blood Money è stato ben accolto per aver introdotto molti nuovi elementi che sono comuni nei moderni Hitman, come la visualizzazione “picture-in-picture”, il poter lanciare armi o nascondere bersagli in qualche cassa/cassonetto/container di sorta, e la morte tramite incidente estesa a tutti i livelli. La maggior parte di implementazioni sono radicate al punto che è impossibile immaginare un titolo della serie privo di una soltanto. Blood Money include anche un sistema di potenziamento delle armi che permette di apportare alcune modifiche come il rumore emesso o il rinculo, o più semplicemente di estendere la vostra salute.

Purtroppo, dopo aver provato le più recenti iterazioni, queste funzionalità non risultano più nuove e i controlli goffi, l’IA spesso stupida e la grafica PS2, sebbene ammorbidita, fanno solo desiderare di passare oltre e tornare al presente o al più recente passato, a titoli che eccellono nel loro schema di controllo e presentano molta più varietà nei loro scenari, obiettivi e armi – oltre a essere visivamente più dettagliati e interessanti. Alcune delusioni specifiche sono la lunga animazione nel momento in cui Agente 47 viene ucciso, i discutibili effetti sonori e le reazioni incostanti dei nemici nell’accorgersi di voi e spararvi, nonché il costante giocherellare con i controlli per capire come uccidere furtivamente qualcuno senza estrarre la pistola o prenderlo a pugni in faccia. Naturalmente, se avete adorato Blood Money nel suo periodo d’oro, potreste provare a divertirvi rigiocandolo e preparando l’incidente perfetto, ma i meno nostalgici non hanno davvero alcun motivo per comprarlo una seconda volta.

Hitman: Blood Money soffre la goffaggine del suo tempo

Hitman: Absolution HD

Absolution compie un balzo in avanti rispetto a Blood Money introducendo una grafica dettagliata, più interazioni con lo scenario per eliminare i bersagli, intelligenza artificiale curata, un sistema di istinto che mostra i nemici sulla mappa attraverso i muri e un’esperienza generalmente più cinematografica. Confrontando tra loro le esperienze di Blood Money e quella di Absolution, sono come il giorno e la notte. Absolution introduce lentamente nelle proprie meccaniche, immergendoci nel bellissimo scenario del giardino di una villa e mostrandoci come utilizzare l’ambiente circostante per nascondere, distrarre e sconfiggere i nemici senza essere individuati. Una sorta di lungo film distribuito su più livelli, in cui ciascuno comincia esattamente dove si è concluso l’altro, instillando nel giocatore la voglia di continuare la partita. Gli effetti sonori, la grafica e gli angoli della telecamera si combinano bene assieme per farci dimenticare che stiamo giocando a un gioco di ormai sette anni fa.

Le funzionalità implementate in Blood Money ritornano in Absolution, a eccezione dell’upgrade delle armi che alcuni potrebbero rimpiangere. Grazie alle mappe relativamente grandi (anche se non così tanto come Hitman del 2016), ci sono molti più modi per eliminare il vostro obiettivo. In realtà, Absolution fa un grande lavoro nel premiarvi per aver fatto uso di tutto ciò che un determinato ambiente ha da offrire, raccogliendo i travestimenti disponibili, eliminando obiettivi con determinati elementi e completando il livello senza essere individuati.

Uno dei principali difetti in questa versione migliorata di Hitman: Absolution è la totale assenza della modalità Contratti. La versione PS3 permetteva di impostare contratti per altri giocatori da completare online. Sfortunatamente, lo sviluppatore ha dovuto rimuovere questo aspetto dalla HD Enhanced Collection a causa di motivi legati al regolamento generale sulla protezione dei dati. IO Interactive ha promesso di cercare un rimedio che permetta di inserire nuovamente la funzione, ma se cercate una modalità online dovete per il momento rivolgervi ai titoli più recenti – in generale più complessi e soddisfacenti.

Conclusioni

Nel complesso? Hitman HD Enhanced Collection costa €59,99 e se da un lato la presenza di due giochi in alta definizione potrebbe giustificare un simile prezzo, dall’altro la revisione messa in atto non si dimostra del tutto sufficiente a giustificarlo.

Se vi sono piaciuti i titoli originali senza dubbio troverete soddisfazione in questi, ma non è una versione ottimizzata al meglio. Sebbene siano ancora giochi molto validi, non c’è nulla di nuovo al di là di qualche smussatura visiva e non sempre efficace. I controlli goffi e la grafica datata di Blood Money non sono stati migliorati abbastanza e Absolution manca della sua popolare modalità Contratti online.

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God Eater 3 – Recensione

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Le “Oracle Cell” si avventarono sul pianeta Terra improvvisamente, pronte a cibarsi di qualsiasi forma di vita. Abilissime nell’adattarsi e mosse da un appetito insaziabile, queste creature sconosciute terrorizzarono gli umani, che le chiamarono “Aragami”. Incapaci di difendersi dalla minaccia furono travolti, la civiltà crollò e l’intera specie finì sul baratro dell’estinzione. La sola speranza erano le armi viventi dette “God Arc”, realizzate con Oracle Cell, e i “GOD EATER” che le brandivano in una guerra disperata, attraverso un mondo devastato da dei impazziti… 

Queste poche parole riassumono in breve la calamità abbattutasi sulla Terra e fulcro delle vicende di ogni capitolo della saga di GOD EATER, l’action-RPG di Bandai Namco che corre su una strada parallela – ma più apocalittica – di Monster Hunter: come i Cacciatori della serie di successo Capcom, anche in questi giochi siamo esseri umani chiamati a inseguire e sconfiggere le misteriose quanto voraci creature generatesi apparentemente dal nulla, ma non siamo proprio persone qualunque. GOD EATER è il nostro appellativo e siamo infusi di quelle stesse Oracle Cell che stanno distruggendo il pianeta – eroi, per qualcuno, mostri abominevoli per molti altri. Siamo i soli a poter impugnare le cosiddette God Arc, le uniche armi in grado di contrastare gli Aragami realizzate utilizzando ancora una volta le Oracle Cell, e non abbiamo altro compito che debellare l’interminabile minaccia di queste folli divinità.

In quanto unici difensori della razza umana, i GOD EATER sono sempre stati dipinti come figure positive alle quali affidare le speranze, ma con GOD EATER 3 la musica cambia – mettendoci nei panni di un prigioniero (oppure una prigioniera) che assieme ai suoi compagni viene trattato alla stregua di un segugio, un oggetto utile al suo scopo e da scartare quando non è più valido.

GOD EATER 3 punta espressamente al pubblico nordamericano ed europeo concentrandosi sul gioco per console fisse: è infatti il primo titolo della serie che non vedrà la luce sulle console portatili Sony, sebbene non si possa dire di sentirne poi la mancanza considerato lo scarso successo di PS Vita al di fuori del Giappone.

Se il successo di Monster Hunter World è di qualche indicazione, dimostra come i giocatori si divertano a collaborare con amici e sconosciuti per dare la caccia a mostri giganti, indipendentemente dal fatto che siano in movimento o “chiusi” entro confini predefiniti. Questo non significa successo immediato, soprattutto quando si far uscire questa formula fuori dai suoi confini, ma GOD EATER 3 compie qualche sforzo per portare la serie a un maggiore riconoscimento anche in Occidente.

Nel corso della nostra avventura, per svincolarci dal ruolo di semplici strumenti e riscattare quell’umanità che ci appartiene, abbiamo avuto la dimostrazione del grande sforzo compiuto da Marvelous e Bandai Namco nella realizzazione di questo terzo capitolo. Rispetto ai titoli del passato sviluppati da Slant (attualmente al lavoro su Code Vein) GOD EATER 3 beneficia enormemente dell’approccio incentrato sulla console, presentando un comparto grafico complessivamente superiore.

I modelli di personaggi sono curati e le animazioni si sono dimostrate fluide in tutto il corso del gioco, credibili nonostante la natura “anime” ne limiti in qualche modo l’espressività e il realismo. Volendo cercare il proverbiale pelo nell’uovo, abbiamo un po’ storto il naso di fronte al problema di clipping per quanto concerne le capigliature dei personaggi, ma a compensare, i bordi sono più smussati – in particolare attorno alle dita e in generale lungo il corpo – e la saturazione è migliorata.

GOD EATER 3 beneficia enormemente dell’approccio incentrato sulla console

Come abbiamo accennato, la situazione in GOD EATER 3 si è fatta ancora più difficile. Negli anni trascorsi dal capitolo precedente, dove già l’umanità stava fortemente rischiando l’estinzione, quasi tutte le infrastrutture hanno ceduto sotto il peso di un’epidemia che trasforma qualunque cosa in cenere. Questo ha inoltre portato alla creazione di Aragami più resistenti e pericolosi, per cui si è reso necessario lo sviluppo di nuovi GOD EATER “adattabili” (GEA), in grado di usare God Arc più forti.

Assieme al combattimento standard hack-and-slash, GOD EATER 3 permette ai giocatori di divorare i propri nemici trasformando momentaneamente la propria God Arc: una volta avuto un assaggio della preda si attiverà un indicatore che potrà raggiungere al massimo il livello 3 e si consumerà nel tempo, permettendo però nel mentre di sfruttare alcune mosse speciali per infliggere più danno. Si può inoltre creare una connessione uno-a-uno con i vostri compagni di squadra, andando così a sbloccare una potenzialità latente in grado – a seconda della tipologia scelta – di riequilibrare l’andamento della battaglia. Ad aggiungere quel tocco in più agli scontri sono da un lato l’implementazione di un massiccio contrattacco che, grazie alla possibilità di essere combinato in diversi modi alla seconda della necessità, può arrecare gravissimi danni al vostro bersaglio; dall’altro invece la presenza del cosiddetto “grilletto acceleratore” che, soddisfatti determinati requisiti sul campo, si attiverà potenziando temporaneamente il vostro GOD EATER. Senza dubbio siamo di fronte a un gameplay ricco, eppure non possiamo dirlo altrettanto stratificato.

Il gameplay action di GOD EATER 3 accusa infatti molto più dei suoi predecessori il peso di una categoria che ormai ha fatto molti passi in avanti. Naturalmente siamo di fronte a un gioco che segue la continuità della serie senza pensare di stravolgerla, e gli appassionati troveranno ciò che cercano, ma il sistema di combattimento non riesce ugualmente a evolversi in qualcosa di più, in un sistema capace di offrire una lotta senza esclusione di colpi e al contempo fluida, non spezzata da una serie di implementazioni che per quanto piacevoli in qualche modo rallenta il tutto – complice anche un sistema di combo che non porta alcuna innovazione. La Modalità Burst torna in edizione migliorata e volta alla spettacolarità, assieme a una corposa selezione di Arti Burst da utilizzare quando si è a terra, a mezz’aria o anche in scatto, tuttavia nella sua pienezza questa struttura di gameplay spinge molto spesso a dimenticarsi di alcune azioni, portandoci  a sfruttare le più immediate.

Il sistema di combattimento è ancora piuttosto asciutto

Nulla da dire invece in merito alla trama, che grazie ad alcuni espedienti narrativi particolari ci regala una storia soddisfacente ed emozionante, con i giusti colpi di scena, mantenendo la qualità narrativa tipica della serie. Il gioco è localizzato in italiano con la possibilità di impostare l’audio inglese oppure l’originale giapponese, ma a volte ci troviamo di fronte a una traduzione eccessivamente letterale che pur non impattando sulla trama potrebbe lasciare perplesso chi è interessato anche allo svolgimento degli eventi e non solo al multigiocatore. In merito a quest’ultimo, che prevede l’eliminazione di un particolare Aragami entro un massimo di cinque minuti, non siamo riusciti a trovare molti giocatori ma da quanto visto – oltre a riportare alla mente i feeling del più recente Monster Hunter: Worldoffre un valido livello di sfida e una buona alternativa alla modalità giocatore singolo. Complice il tempo ristretto, gli appassionati della caccia di squadra ne usciranno soddisfatti.

Conclusioni

Il tempo trascorso con GOD EATER 3 è nel complesso piacevole. L’estetica anime funziona alla grande per ciò che il gioco sta cercando di realizzare, le cacce non sono lunghe come quelle di Monster Hunter: World permettendo così di entrare e uscire da sessioni brevi, se i giocatori lo desiderano. Non approfondiamo la parte dedicata alla trama per lasciare a voi il piacere della scoperta ma, come nei precedenti, è stata molto ben gestita e offre un altro drammatico punto di vista.

Lato combattimento, invece, per quanto siano state apportate migliorie che alleggeriscono l’esperienza e facilitano la caccia ai meno esperti, siamo di fronte a una struttura ancora troppo asciutta per piacere davvero a un pubblico che vada oltre la cerchia di appassionati – considerata l’offerta degli action-RPG attuali. GOD EATER 3 sceglie quella nicchia sicura che ha fatto di GOD EATER 2: Rage Burst un ottimo gioco, ma la volontà di non osare troppo e rimanere simile a quest’ultimo al di là di alcune differenze lo penalizza un po’. Chissà che l’approdo definitivo su console fissa non sia un trampolino di lancio per un’evoluzione della serie.

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Daymare: 1998, indetto un contest per aggiudicarsi in anteprima la versione PC

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Lo sviluppo di Daymare: 1998, il survival horror a cura dello studio italiano Invader Studios che recentemente ha trovato in Destructive Creation il proprio editore e un supporto per quanto riguarda le animazioni, è ripreso con rinnovato vigore dopo il fallimento della campagna Kickstarter lo scorso anno.

Recentemente è stata comunicata la notizia che il doppiatore originale di Leon Scott Kennedy in Resident Evil 2 parteciperà al progetto, mentre oggi gli sviluppatori hanno indetto sulla loro pagina Facebook un contest per ottenere in anteprima una copia della versione PC. Le regole sono semplici: guardate il video in calce alla notizia e completate l’incipit con un massimo di cinque frasi. commentando sotto al post o su YouTube. Verrà premiata la storia migliore, perciò sgranchitevi le dita – potrebbe essere la vostra occasione!

“Era una splendida e calda serata estiva a Keen Sight, mentre le ombre allungate e la gentile brezza di una tempesta distante spazzarono via la giornata di caldo. Sfortunatamente, l’idillio non durò a lungo…”

 

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Annunciato il remake di The Legend of Zelda: Link’s Awakening per Nintendo Switch

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Non solo Mario! Nel corso del Nintendo Direct, la grande N ha annunciato in una veste completamente rinnovata il ritorno di uno dei titoli più amati della saga ideata Shigeru Miyamoto. The Legend of Zelda: Link’s Awakening ha esordito su Game Boy nel 1993 e dopo ventisei anni trova nuova vita su Nintendo Switch: il gioco offrirà una grafica riveduta e corretta, che però non andrà a snaturare lo stile del gioco originale, ed è previsto entro il 2019. Non perdetevi il primo trailer in calce alla notizia!

Ma Nintendo non vive solo di Zelda, scoprite tutte le altre Novità dal Nintendo Direct odierno!


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Astral Chain è il nuovo gioco di PlatinumGames in esclusiva per Nintendo Switch

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ASTRAL CHAIN è il nuovo gioco d’azione di PlatinumGames annunciato nel corso del Nintendo Direct come esclusiva Nintendo Switch e disponibile dal prossimo 30 agosto. Diretto da Takahisa Taura, il game designer di NieR:Automata, e supervisionato da Hideki Kamiya, creatore della serie Bayonetta, il gioco ci porta in una futuristica città multiculturale.

Come membri di un’unità speciale della polizia dovremo collaborare con un’arma umanoide chiamata Legion, in un’avventura che alterna l’estrema frenesia del combattimento a un ritmo più compassato grazie all’esplorazione della metropoli, lungo la quale potremo ottenere non solo equipaggiamento migliore per essere sempre all’altezza dei nostri compiti ma anche punti esperienza da spendere nell’albero abilità di ciascun personaggio.

Ulteriori informazioni riguardo ad ASTRAL CHAIN saranno condivise nei prossimi mesi, per il momento vi lasciamo al bellissimo trailer di annuncio e ad alcune immagini che già possono darvi l’idea delle atmosfere che ci accoglieranno. Scoprite tutte le altre Novità dal Nintendo Direct odierno!


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Annunciata la data d’uscita di Fire Emblem: Three Houses

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Era quotato come il protagonista d’eccezione del Nintendo Direct, invece a Fire Emblem: Three Houses è stato dedicato meno tempo del previsto: questo non significa che le informazioni ricevute siano state scarne, anzi, il gioco è stato presentato in pompa magna con un trailer di ben cinque minuti, al termine del quale è stata rivelata l’agognata data d’uscita su Nintendo Switch: il 26 luglio 2019. Inoltre è stata anche annunciata l’Edizione Limitata del gioco!

Non sfugge la differenza rispetto all’iniziale finestra di lancio primaverile ma, per compensare questo slittamento, il nuovo grande capitolo della saga, per la prima volta sulla console ibrida Nintendo, ha svelato qualcosa di più del suo gameplay. Come suggerisce il titolo, saremo chiamati a scegliere fra tre casate che lottano per la supremazia del territorio: Aquile Nere, Leoni Blu e Cervi Dorati.

Fire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three HousesFire Emblem: Three Houses

Non cambia la struttura tipica della serie, costruita attorno a battaglie strategiche a turni svolte su un campo di battaglia a scacchiera e che sfruttano le caratteristiche di ogni personaggio per uscire vincitori dallo scontro. A essere diverso è il ruolo del giocatore: in genere parte dell’armata come soldato fra tanti, questa volta assumerà la posizione di professore/ssa all’interno dell’Accademia Ufficiali – dove si occuperà di formare combattenti d’élite per guidare la casata scelta alla vittoria.

I diversi cadetti sono dotati di personalità e abilità uniche, e possono interagire tra di loro all’interno dell’Accademia sviluppando legami che li renderanno più efficaci in battaglia. Vi lasciamo con il trailer in calce alla notizia, dove potrete dare uno sguardo più approfondito alle meccaniche e sapere qualcosa di più sulla narrazione di Fire Emblem: Three Houses. Ricordate di non perdervi tutte le altre Novità dal Nintendo Direct odierno!


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The Liar Princess and the Blind Prince – Recensione

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Le fiabe esistono da secoli ma nonostante il loro simbolismo e linguaggio figurato si possano trovare piuttosto facilmente, è invece più raro che un videogioco scelga di mostrarsi sotto questa forma. Non ci riferiamo a quelle trasposizioni rose e fiori dai colori vividi che spesso entrano nelle nostre case sotto forma di cartoni animati: la situazione in questo caso è ben diversa, una vera e propria discesa nel macabro e nella disgrazia presentata attraverso l’estetica da vecchio libro delle fiabe, così accattivante che sembra quasi di sentire l’odore delle pagine.

Premettiamo che il gameplay non è sempre all’altezza di questa storia molto ben raccontata, portandosi anzi a volte in secondo piano, ma per chiunque sia rimasto affascinato dai suoi tratti d’inchiostro e dal mondo che portano in vita, o sia alla ricerca di un’esperienza più tranquilla, quieta, The Liar Princess and the Blind Prince è un gioco che merita uno spazio nella sua libreria. Il gioco si appoggia sulla sua estetica fiabesca fin dall’inizio. Un’introduzione lenta ed estrosa, volta a impostare il proprio mondo, la storia e i personaggi attraverso il racconto testuale: in una foresta abitata da mostri e dominata da una strega, nessun essere umano ardisce avventurarsi per timore di ciò che si nasconde nelle ombre, ma un giovane principe resta affascinato da una voce melodiosa che ogni notte gli scalda il cuore. Non sa che a cantare è un feroce lupo il quale, nonostante apprezzi il principe come suo pubblico, non vuole mostrargli la sua vera forma poiché umani e mostri sono da sempre nemici.

Una notte, tuttavia, il principe riesce a coglierlo di sorpresa e arrampicarsi sul promontorio dal quale canta: terrorizzato che possa scoprire la sua identità, il lupo lo aggredisce ferendolo al volto con gli artigli e privandolo così della vista.

Il giovane viene soccorso ma a causa del suo volto sfregiato, la famiglia lo rinchiude poi in una torre. Divorato dai sensi di colpa, il lupo inizialmente cerca di scoprire cosa gli sia successo e una volta appresa la sua condizione, accetta un patto con la strega della foresta per assumere una forma umana (nello specifico, di una principessa) e guidare così il principe da lei affinché lo curi. Mano nella mano, i due si avventurano quindi verso l’ignoto e noi con loro, in cerca del lieto fine che ogni fiaba porta con sé. Assieme alla sua morale.

Certo, stiamo comunque parlando di un videogioco e come tale intervalla queste sezioni narrative con il gameplay vero e proprio. Controlliamo la principessa che, con la semplice pressione di un tasto, può tornare a essere un lupo: bilanciare queste due forme è la chiave per consentire al principe di superare in sicurezza le trappole, i meccanismi e persino i nemici che popolano la foresta. Da esseri umani sono prede facili ed estremamente vulnerabili ma laddove il giovane non può sopperire a questa sua debolezza, la principessa ha la facoltà di mutare e lasciarlo momentaneamente indietro per andare in avanscoperta e farsi un’idea dei dintorni. Questo perché alla fine sarà costretta a riassumere sembianze umane per prendere il principe per mano e accompagnarlo verso la meta, dandogli al contempo suggerimenti su come procedere. Si alternano dunque situazioni equivoche che strappano più di un sorriso a momenti invece di veri tumulti esistenziali.

The Liar Princess and the Blind Prince è un’esperienza lenta e ponderata

Dall’altro lato, tornando alla forma lupina si è pressoché invincibili: i mostri capaci di uccidere un umano in un singolo colpo non possono nemmeno toccarci, mentre a noi bastano pochi colpi d’artiglio per avere la meglio. Il lupo è anche in grado di saltare più in alto e il suo peso maggiore permette la risoluzione di determinati enigmi. Col tempo si imparano i pro e i contro di entrambe le forme e si intuisce come gestire meglio queste trasformazioni per superare qualunque ostacolo ci separi dalla strega. Pur apprezzando la meccanica, è stato il modo in cui il gioco ha introdotto più elementi legati a questo aspetto a renderlo divertente.

The Liar Princess and the Blind Prince è un’esperienza lenta e ponderata, e ogni nuova aggiunta aumenta sia la profondità del gameplay sia la confusione con il senso di misticismo e difficoltà che deriva dalle nebbiose profondità della foresta. Va però detto che nulla si sente mai davvero difficile e tutti i decessi o gli errori che ne derivano sono stati messi in sicurezza da frequenti checkpoint. Inoltre c’è la possibilità di saltare determinate sequenze se queste si rivelano troppo difficili. Non è un gioco ideale per chi cerca sfide più impegnative, preferendo concentrarsi più sulla narrazione intervallata da qualche enigma interamente focalizzato sulla logica.

Nel complesso, l’intero gioco è una missione di scorta. Il principe è per lo più sotto il nostro controllo, poiché tenendo premuto un pulsante possiamo tenerlo al nostro fianco mentre ci muoviamo – sebbene a volte qualche leggera imprecisione in termini di reattività abbia portato a esiti spiacevoli. Bisogna però dare credito al gioco e dire che la sensazione di star solo accompagnando qualcuno senza particolari altri guizzi è pressoché impercettibile, grazie anche al ruolo cruciale che lo stesso principe copre nell’attraversamento della foresta. Di tanto in tanto è fastidioso andare in avanscoperta, tornare indietro per prendere la mano al nostro menomato compagno e poi scortarlo lungo una strada percorsa appena pochi secondi prima, ma è quello che serve per condividere davvero un viaggio insieme.

Conclusioni

Pur avendolo giocato su PlayStation 4, non abbiamo dubbi che The Liar Princess and the Blind Prince sia un titolo perfetto da aggiungere alla libreria soprattutto di Nintendo Switch: la sua splendida estetica visiva e il ritmo compassato ne fanno il gioco ideale da godersi avvolti dalle coperte e illuminati solo da un abat-jour.

Questa storia della buonanotte dalle tinte buie non si risparmia nel toccare temi cupi: li indossa con orgoglio, facendo emergere il titolo tra i suoi contemporanei. Anche se il gameplay non soddisfa esattamente i punti salienti della sua narrativa e stile, vale comunque la pena perdersi al suo interno.

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Devil May Cry 5 – Anteprima

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Nato inizialmente come la prima bozza di Resident Evil 4, Devil May Cry si è evoluto in uno dei più grandi franchise di Capcom. Le avventure di Dante ci hanno appassionato per quasi vent’anni e l’8 marzo, dopo una pausa presa con lo spin-off DMC, saremo pronti ad accogliere dopo anni il quinto capitolo ufficiale della serie. Facciamo brevemente il punto: azione esagerata? Ce l’abbiamo. Umorismo pungente? Ce l’abbiamo. Giacche alla moda? Abbiamo anche queste. Insomma tutto ciò che potevamo aspettarci e volere da Devil May Cry 5 è pronto per essere servito al grande pubblico. È diverso eppure siamo positivamente colpiti dalla direzione familiare e al contempo audace che Capcom ha voluto prendere.

Nelle quattro ore trascorse sul gioco ci è stato chiaro fin dall’inizio che Itsuno sa cosa renda Devil May Cry così speciale: perciò non siamo rimasti stupiti, diremmo anzi esaltati, quando siamo stati travolti da uno stile roboante accompagnato da note metal e sequenze talmente sopra le righe che è impossibile non riderci sopra. Ma non parliamo solo di estetica, come Capcom ha subito dimostrato una volta nel vivo dell’azione. Ci sono molti punti oscuri nella storia fin dai tempi del primo capitolo e che con il passare degli anni hanno generato ancora più mistero attorno a sé, ma ora è giunto il momento della resa dei conti: i nodi verranno al pettine e molte risposte avranno voce.

Ambientato dopo gli eventi di Devil May Cry 2, il quinto capitolo ci mette di fronte a vecchie e nuove conoscenze: ci sono Trish e Lady, Nero e Dante, persino il buon vecchio J.D. Morrison (il committente di Dante, familiare a chi ha visto la serie animata ma qui riportato con un aspetto totalmente diverso), e con loro un personaggio inedito – il misterioso V. Proprio quest’ultimo ingaggia Dante per una particolare missione che lo porterà ad occuparsi della minaccia insita nell’albero demoniaco che ha messo radici a Red Grave City: al suo interno, il figlio di Sparda si troverà ad affrontare una creatura mai vista prima e la cui potenza non solo è inarrivabile ma gli permette addirittura di distruggere senza sforzo la Rebellion del cacciatore. A nulla servono gli sforzi congiunti di tutti, il nemico è troppo forte e il gruppo si trova separato: da qui in avanti ognuno agirà da sé per capire cosa si celi dietro la venuta di questo demone e, in particolare, se è stato lui a privare Nero del suo Devil Bringer.

Devil May Cry V ci offre tre personaggi giocabili: Nero, Dante e V. Dei primi due già si è avuto più che un assaggio nei precedenti capitoli, il terzo è invece la vera novità di questo quinto capitolo e potenzialmente il più interessante del pacchetto. Dimenticate le acrobazie di Nero e la brutale violenza di Dante, l’entrata in scena di V comporta un cambio di ritmo mai percepito prima nella serie ma proprio per questo gradito. Ciò che deve fare questo misterioso evocatore è rimanere nelle retrovie facendo attaccare i demoni al suo servizio e sfruttando solo il momento propizio per sferrare il colpo di grazia. Trattenersi, in un certo senso, anziché gettarsi nella mischia è qualcosa a cui Devil May Cry non ci ha mai abituato eppure la soddisfazione di gestire lo scontro con gli occhi dello stratega è, se possibile, maggiore del tagliare a metà un demone; soprattutto considerato che, a dispetto della libertà di movimento, saremo di base più vulnerabili rispetto ai discendenti di Sparda.

Shadow, Griffon e Nightmare. Questi i nomi dei tre “famigli” di cui si servirà V per superare le proprie battaglie, ciascuno dotato di abilità uniche: la prima è una pantera più concentrata sugli attacchi ravvicinati mentre il secondo, l’unico peraltro a parlare il linguaggio umano, è un volatile che combina uno stile di lotta basato sul corpo a corpo, sulla distanza e in misura minore anche sugli attacchi ad area. I due demoni agiscono in contemporanea sotto il controllo del giocatore, che li guida premendo i pulsanti di riferimento, hanno una personale serie di abilità da sviluppare grazie ai consueti Red Orb e aiutano V a muoversi più rapidamente sul campo di battaglia quando si tratta di schivare – Griffon è tuttavia utile anche in contesti esplorativi, potendo trasportarci e dunque aiutarci a coprire certe distanze.

Siamo positivamente colpiti dalla direzione familiare e al contempo audace di DMC 5

Nonostante possano essere temporaneamente potenziati consumando i segmenti del Devil Trigger, Shadow e Griffin in particolare non sono invulnerabili e anzi, subita una data quantità di danni verranno messi fuori gioco. Recupereranno le energie con il tempo ma essendo l’unica vera forma di offesa per V, è opportuno tenere la loro salute sotto osservazione per evitare di rimanere scoperti. Ad ogni modo, avvicinandoci a loro potremo accelerare il processo di guarigione e inoltre leggendo il libro che V porta sempre con sé ripristineremo gradualmente anche il Devil Trigger. Considerato che il famiglio più forte di tutti, ovvero Nightmare, può essere evocato solo consumando interamente il Devil Trigger, va da sé quanto sapere organizzare una strategia adeguata bilanciando attacco e difesa sia essenziale.

Infine, ed è questo l’aspetto che rende il gameplay di V così avvincente da giocare, c’è quella piccola clausola per cui i nostri demoni non possono uccidere i nemici ma solo indebolirli: sicuramente ci sarà motivato durante la storia, nel frattempo ogni colpo di grazia potrà e dovrà essere dato per mano di V. Una volta inflitti abbastanza danni, potremo teletrasportarci di fronte al nemico per eliminarlo. Un mordi e fuggi molto efficace che rende queste missioni incredibilmente avvincenti.

Con Nero si cammina invece su un terreno più familiare, molto coreografico nel suo uso combinato di armi da fuoco e spada, ma questo non significa che Capcom abbia deciso di lasciare tutto com’era anni fa: l’introduzione del Devil Breaker, la protesi che va a rimpiazzare il Devil Bringer strappato a Nero, permette un approccio più variegato al combattimento regalandoci anche una maggiore e indubbiamente gradita verticalità. Dei tre, lui è quello che più si bilancia tra forza bruta e tattica.

Non rimane che Dante, la vera bestia della squadra. Nemmeno a dirlo, lui è il personaggio più con i piedi per terra – letteralmente – e che concentra la sua forza in attacchi forse, per quanto abbiamo potuto vedere, meno scenografici ma estremamente potenti, combinando tutto con i quattro stili: Gunslinger, Swordmaster, Trickster, Royalguard. I moveset di ogni personaggio sono così ben differenziati che l’esperienza si è dimostrata fresca e mai ripetitiva, complice anche una storia di cui sappiamo poco ma che promette molto: la sola presenza di Virgil, finora suggerita e mai confermata, indica che il ciclo dei figli di Sparda è prossimo a chiudersi.


Devil May Cry 5 ha tutti gli ingredienti per essere il miglior capitolo della serie, un ritorno trionfante per Dante e la sua folle, stilosa, esilarante compagnia. Molti giochi di stampo hack and slash finiscono col ridursi a una ripetizione estenuante delle stesse mosse ma non è questo il caso; la varietà è l’anima di Devil May Cry 5 e dopo l’eccellente Monster Hunter World lo scorso anno e l’ancor migliore Resident Evil 2 appena un mese fa, Capcom non sembra intenzionata ad abbandonare la scia del successo.

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Judgment – Anteprima

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Dopo il successo critico e commerciale di Yakuza 6 (di cui potete leggere le nostre impressioni) e gli eccellenti remake Yakuza Kiwami e Yakuza Kiwami 2 (anche questi passati al vaglio qui e qui), Ryu Ga Gotoku Studio ha dimesso gli abiti da yakuza per indossare quelli del detective privato con Judge Eyes: Shinigami no Yuigon (Judgment in Occidente). Disponibile dal 13 dicembre 2018 in Giappone e in programma per l’estate 2019 in Europa, cosa dobbiamo aspettarci da questa avventura alla Sherlock Holmes in salsa Yakuza? Soprattutto, fino a che punto riuscirà a distinguersi dalla precedente serie pur mutuandone molti aspetti?

Ambientato nel fittizio distretto di Kamurocho (sì, proprio quello) a due anni dalla conclusione delle vicende che hanno coinvolto Kazuma Kiryu, siamo chiamati a vestire i panni di Takayuki Yagami – interpretato dal famoso attore e cantante giapponese Takuya Kimura, che da più di un trentennio vanta una carriera di successo nel panorama dell’intrattenimento giapponese. Yagami era un brillante avvocato, famoso per aver ottenuto l’assoluzione di un cliente dall’accusa di omicidio: caso più unico che raro, poiché in Giappone il 99% dei processi penali si conclude con la condanna. Tuttavia quello stesso cliente viene incolpato tempo dopo della morte della fidanzata, una vicenda che scuote l’opinione pubblica e rovina del tutto la carriera di Yagami. Ora investigatore privato, il suo compito è indagare su un misterioso serial killer che ha preso di mira alcuni yakuza e dopo averli uccisi asporta loro gli occhi.

Apriamo questa anteprima con una notizia che sarà gradita a molti, soprattutto a chi è sempre stato incuriosito dalla serie Yakuza ma si è trovato ostacolato dalle barriere linguistiche: Judgment sarà localizzato in italiano, mantenendo l’originale doppiaggio giapponese ma aggiungendo anche quello inglese – altra novità per questo filone di giochi. Detto ciò, scopriamo subito l’elefante nella stanza. Se state aspettando un’esperienza del tutto nuova da Ryu Ga Gotoku Studio, in una zona giapponese altrettanto inedita e con fasi di gioco rivoluzionarie, non è questo il caso: Judgment ricicla molto della formula che ha reso popolare il suo predecessore ma si impegna per dare all’esperienza una sfumatura prettamente investigativa capace quantomeno di offrirgli una propria identità. Non si discosta da Yakuza, piuttosto gli si affianca mostrandoci Kamurocho da un’altra prospettiva e con occhi diversi, sia per parlare ai fan di vecchia data sia per raccogliere nuovi potenziali appassionati di drama giapponese, che in termini di narrazione possono aspettarsi l’ottima qualità di sempre, almeno da quanto abbiamo potuto vedere fino adesso.

Se avete familiarità con il Dragon Engine utilizzato in Yakuza 6 e nel recente Yakuza Kiwami 2, allora possiamo dirvi che in Judgment dà veramente il massimo. Dopo la lunga sequenza di apertura che ci mostra passato e presente di Yagami, siamo incaricati di pedinare un uomo che stavamo già tenendo d’occhio da tempo ma è raro che a Kamurocho le cose vadano via lisce: alcuni teppistelli ci hanno offerto un primo assaggio del combattimento, simile ma al contempo ben distinto da quello di Yakuza. Yagami pare essere uscito da un film degli anni ’80 per il suo modo di lottare, lontano dalla brutalità di Kiryu e molto più fondato sullo stile – due in totale.

Judgment è un promettente noir con il giusto tocco di Yakuza.

La Gru, caratterizzata da un’icona blu vicino alla barra della vita, concentra attacchi fluidi e rapidi per tenere testa ai gruppi numerosi; la Tigre, invece, incanala molta più potenza nei colpi sacrificando un po’ della nostra rapidità per abbattersi senza pietà sui singoli avversari. Nonostante layout dei pulsanti sia all’incirca lo stesso al quale siamo abituati, è la sensazione che ne deriva a essere diversa: Yagami è molto più leggero nelle movenze rispetto a Kiryu, meno ingessato, e sembra poter vantare un’ampia varietà di mosse che si sblocca spendendo come al solito i relativi punti. Anche le “Heat Action” fanno il loro gradito ritorno questa volta sotto il nome di “EX-Action”, violente e soddisfacenti come sappiamo. Gli sviluppatori si sono impegnati a stratificare il combattimento di Judgment affinché si avverta maggiormente la necessità di affidarsi alle combo, poiché lo stile singolo di Kiryu risentiva di una certa ripetitività, nonostante la quantità di upgrade, spingendo il giocatore a usare le stesse mosse; qui in qualunque momento possiamo adattare il nostro stile all’andamento dello scontro soltanto premendo i pulsanti direzionali.

Per quanto graditi possano essere questi accorgimenti, le vere novità nel gameplay ci si presentano nel momento in cui dobbiamo fare quello per cui siamo pagati: investigare. Yagami ha diversi approcci per portare avanti la sua indagine, che immaginiamo possano variare a seconda del bisogno. Anzitutto c’è il pedinamento, nel corso del quale dovremo evitare di insospettire il nostro obiettivo confondendoci con l’ambiente circostante: non pensate qualcosa à la Assassin’s Creed, sebbene occorra qualche appostamento poco discreto. Guardare il cellulare appoggiati a una parete, ecco, questo potrebbe risultare un ottimo modo di passare inosservati.

Per pedinare qualcuno, però, dobbiamo prima riconoscerlo in mezzo alla folla: interviene quindi il riconoscimento tramite identikit. La telecamera passa alla prima persona e, senza poterci muovere dalla nostra posizione nella maggior parte dei casi, dovremo zoomare verso un determinato individuo per confrontare i dettagli con il disegno in nostro possesso affinché tutto combaci. Questa stessa meccanica viene applicata anche in altri contesti con delle lievi variazioni, come esaminare una prova fotografica per determinarne i dettagli interessanti oppure trovare un particolare elemento dopo averlo visionato altrove – magari su una registrazione.

Siccome Yagami, a differenza di Kiryu che sembrava provenire da un altro mondo, è molto più moderno avremo a disposizione anche un drone per setacciare la zona durante le indagini. Non mancheranno poi sessioni di inseguimenti (per ora solo a piedi) ricche di QTE per aggiungere un po’ di adrenalina al tutto: insomma, Judgment ricorda molto Yakuza e va ammesso, ma è altresì vero che Ryu Ga Gotoku Studio ha rimescolato la sua formula, adattandola a un promettente hard boiled.


Judgment è progetto interessante che potremmo definire di transizione tra il passato scandito dalle avventure di Kiryu e un futuro ancora tutto da decidere. Delizierà sicuramente i fan della serie Yakuza ed è pronto ad aprirsi anche ai nuovi arrivati: i primi si sentiranno a casa molto in fretta, ritrovando tutto ciò che hanno imparato ad amare di Kamurocho, mentre i secondi saranno stupiti dallo spettacolo che Shinjuku ha da offrire. Rimane l’incertezza su quanto davvero il gioco vorrà essere innovativo e originale, al di là di meccaniche nuove e piacevoli ma non certo inedite, ma se è davvero quella fase transizionale di cui sopra allora potremo rilassarci, farci prendere per mano e lasciarci condurre verso la risoluzione di un caso dalle sfumature cupe, che avrà molto più da raccontare di quanto sembra.

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